Eurolampi

Nicolò Delvecchio
11/06/2021

Da Arshavin, miglior giocatore del continente nel 2008, a Christian Poulsen, famoso solo per lo sputo di Totti. Ma anche Cassano e Balotelli, fenomenali nel 2012 e basta: quanti giocatori, in Nazionale, sono durati giusto lo spazio di un'estate.

Eurolampi

Di storie strane agli Europei ce ne sono state tante. Dalla monetina vincente che ha dato all’Italia la sua prima finale (poi vinta), ai trionfi di squadre improbabili, da cadute rovinose a protagonisti inaspettati. Ci sono formazioni che hanno vinto in maniera totalmente casuale, giocatori saliti alla ribalta nello spazio risicato di un mese, colpi di genio estemporanei di artisti pronti a essere dimenticati alla fine del torneo. Ne abbiamo scelti alcuni. Giocatori di cui basta pronunciare il nome, per pensare a una particolare edizione dell’Europeo.

La stella russa

C’è stato un momento in cui Andrej Arshavin è sembrato il giocatore più forte del mondo. Vabbè, forse del mondo no, ma tra i migliori in Europa sicuramente sì. L’anno di grazia è il 2007-08, e la Russia torna a ruggire sulla scena del calcio europeo come non succedeva dai tempi dell’Urss sia con i club che con la nazionale. Lo Zenit San Pietroburgo di Dick Advocaat vince la Coppa Uefa, demolendo i Rangers di Glasgow con un netto 2-0. La selezione di Guus Hiddink, invece, arriva terza agli Europei di Austria e Svizzera, sorprendendo tutti. Il filo conduttore di questi due exploit è lo stesso, Andrei Arshavin, attaccante o esterno classe 1981.

In quella stagione è semplicemente devastante. In campionato fa 10 gol e 11 assist, portando lo Zenit a vincere il suo primo titolo nazionale, e in Europa ne segna 4 in 12 partite, mettendo la sua firma indelebile sulla seconda Coppa continentale vinta da una squadra russa, dopo quella del Cska nel 2004-05. All’Europeo del 2008 ne segna due in tre partite (per squalifica salta le prime due gare) e trascina i suoi in semifinale per la prima volta, dopo aver scherzato l’Olanda ai quarti (3-1, gol e assist per il 10). Gote rosse, tanta tecnica ed esultanza col dito sulla bocca, a voler zittire tutti: Arshavin è «The Next Big Thing» del calcio europeo.

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Peccato che la sua crescita si sia fermata di fatto lì. Indolente, poco avvezzo al lavoro, ammaliato dal suo stesso talento, Arshavin non è mai tornato a quei livelli. Con l’Arsenal combina qualcosa di buono in quattro stagioni, tra cui un poker ad Anfield contro il Liverpool e una rete in Champions al Barcellona, ma non basta. Il russo esplode e si spegne nel giro di un campionato europeo, Zenit (non a caso) e Nadir della sua carriera.

Coppia esplosiva

Veniamo alle cose di casa nostra, con due personaggi che hanno avuto una loro dimensione – anche di una certa importanza – pure nei club, ma che in Nazionale sono indissolubilmente legati agli Europei. Il primo in questione è Antonio Cassano: nel 2004 è la stella di una squadra azzurra forte, con l’unica pecca di un commissario tecnico non all’altezza. Euro2004 è quello del biscotto di Danimarca-Svezia, quel 2-2 che ci condanna all’eliminazione ai gironi. Ma è anche l’Europeo di Antonio Cassano, autore con la Roma – a 22 anni – di 18 gol in tutta la stagione, record che non supererà più. Dopo lo 0-0 con i danesi è lui a illudere contro la Svezia, con un colpo di testa perfetto che ci tiene a galla fino all’85’, quando Zlatan Ibrahimovic si inventa uno dei gol più belli della sua carriera. È ancora lui, al 94′ della partita successiva, a darci tre punti inutili con la Bulgaria: in un secondo, la sua faccia passa dalla gioia allo sconforto, e dalle risate a un pianto a dirotto.

Talento complesso, quello di Cassano, probabilmente il miglior attaccante italiano nato dagli anni ’80 in poi. Una carriera fatta di follie e colpi di genio, grandi amori e litigi tremendi, di attaccamento e repulsione per la Nazionale. In Azzurro salta tutti i due bienni di Marcello Lippi, ma ci torna con Donadoni e Prandelli. Nell’Europeo 2012 la sua strada incrocia quella di Mario Balotelli, altro talento purissimo non aiutato dalla testa, e i due formano una coppia d’attacco fortissima. Il 10 inventa, il 9 segna e l’Italia va avanti. Momento più alto la semifinale contro la Germania, decisa da una doppietta di Mario: sul primo gol è Cassano a dargli una palla da spingere solamente in rete, dopo aver umiliato Mats Hummels. Il secondo invece è un’azione personale meravigliosa del centravanti, che spacca la porta con un siluro da fuori e regala una delle esultanze più iconiche del decennio, quella della “statua”. Entrambi non riusciranno ad avere una dimensione in Nazionale al di fuori degli Europei, e il Mondiale di due anni dopo sarà per loro, come per tutta l’Italia, un fallimento totale.

Sprazzi di Portogallo

Il nome di Ricardo Alexandre Martins Soares Pereira, conosciuto solo come Ricardo, probabilmente non vi dice nulla. Eppure, l’ex portiere di Boavista e Sporting Lisbona ha legato il suo nome a un momento davvero particolare della storia calcistica del Portogallo. Ai quarti dell’Europeo giocato in casa, nel 2004, la nazionale lusitana e l’Inghilterra non riescono a rompere l’equilibrio: dopo il 2-2 dei supplementari si va ai rigori, e dopo il quinto penalty si va ad oltranza. Al settimo per gli inglesi, Ricardo decide di distrarre l’avversario, Darius Vassell, togliendosi i guanti: la tattica funziona e il portiere riesce a parare la conclusione a mani nude. Dopodiché, il numero uno va dal dischetto e segna, portando i suoi in semifinale.

Il Portogallo perderà in finale davanti al proprio pubblico, ma prenderà la sua rivincita 12 anni dopo, vincendo in Francia proprio contro i Bleus. A decidere la gara è un gol di Eder, centravanti di riserva da 6 gol in 26 gare tra Swansea e Lille: al 109′, senza Cristiano Ronaldo (uscito per infortunio) e con le squadre ormai proiettate ai rigori, l’attaccante fa partire un destro da fuori area su cui Lloris non può arrivare. È l’eroe nazionale, quello che consegna al Portogallo il primo titolo della sua storia, riuscendo dove neanche Eusebio e Luis Figo erano mai arrivati. Dopo quel gol, se possibile, la sua carriera sarà ancora più anonima: dopo un’altra stagione al Lille si trasferisce alla Lokomotiv Mosca, con cui segna appena 10 gol in tre stagioni.

Per uno sputo

Torniamo in Italia, sempre Europeo portoghese. Che non sarebbe stato un gran torneo per gli Azzurri lo si capisce alla prima partita, con la Danimarca che ci ferma sullo 0-0. È una partita nervosa, le cui conseguenze verranno fuori solo dopo il fischio finale. Per tutti i 90′ minuti Christian Poulsen, ruvido centrocampista danese, infastidisce Francesco Totti in tutti i modi possibili e immaginabili. A un certo punto il 10 azzurro sbotta, e senza troppi complimenti gli sputa in faccia. Non se ne accorge nessuno finché, il giorno dopo, una tv danese che aveva dedicato a Totti una telecamera speciale, non manda in onda le immagini. Tre giornate di squalifica per lui, che in seguito dirà quanto si sia vergognato per quell’episodio: «Lo sputo a Poulsen è l’episodio della mia vita del quale più mi vergogno. Non della vita sportiva, della vita tutta, a trecentosessanta gradi. Me ne vergogno così tanto da averlo immediatamente rimosso: se non ci fosse stato il filmato avrei negato di avergli sputato sino alla fine dei miei giorni». Poi però aggiunge: «Christian Poulsen è un personaggio pessimo. Un provocatore che a palla lontana non la smette di pizzicarti, di colpirti ai fianchi con piccoli cazzotti, di salirti sui piedi per far sentire i tacchetti, insomma, uno che ricorre all’intero armamentario del marcatore mediocre. Più lo mandi a quel paese più ride e ti prende in giro. Per fortuna non l’ho più ritrovato in campo, nemmeno nei due anni in cui ha giocato per la Juventus, perché non avrei resistito all’impulso di dargli una scarpata».

Ecco, i due anni alla Juventus. Nel 2008 i bianconeri lo acquistano dal Siviglia, preferendolo incredibilmente a Xabi Alonso. Nonostante le 48 presenze e un gol segnato, il danese non lascia minimamente il segno, e rimarrà sempre nell’immaginario collettivo come «quello dello sputo di Totti».