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Arnaldo fascista ribaldo

Giornalista, politico, insegnante, ideologo del regime: chi era il fratello di Benito Mussolini a cui il leghista Durigon avrebbe voluto intitolare un parco di Latina, ora dedicato a Falcone e Borsellino.

11 Agosto 2021 14:03 Nicolò Delvecchio
Chi era il fratello di Benito Mussolini a cui il leghista Claudio Durigon vorrebbe intitolare un parco di Latina.

Chi definisce Arnaldo Mussolini un “moderato”, o “il fratello buono”, probabilmente non conosce bene la sua storia. Giornalista, insegnante, politico, il fratello del duce – al quale il leghista Claudio Durigon vorrebbe intitolare nuovamente un parco di Latina, ora dedicato a Falcone e Borsellino – si definiva «il più destro dei destri nel regime», coniò l’espressione «per il fascismo chi tradisce perisce» ed è stato, come ricorda sul Fatto Quotidiano di oggi lo storico Mauro Canali, «il costruttore dello Stato totalitario». E non solo, perché ebbe un ruolo importante nella fondazione della Scuola di mistica fascista di Milano, voluta da Niccolò Giani, e nella normalizzazione dei rapporti tra la Chiesa cattolica e il regime. Uomini a lui vicini contribuirono all’omicidio di Giacomo Matteotti, avvenuto poco prima che il parlamentare socialista svelasse le tangenti pagate dall’americana Sinclair Oil ad Arnaldo e ad alcuni gerarchi, per ottenere un’esclusiva di 90 anni per la ricerca e lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi presenti in Emilia e Sicilia. A lui è anche legata la triste vicenda dell’amante del duce, Ida Dalser, internata in manicomio e morta in condizioni misteriose.

Chi era Arnaldo Mussolini

Nato a Predappio (Forlì-Cesena) nel 1885, due anni dopo Benito, Arnaldo si diplomò nella scuola agraria di Cesena e insegnò in Friuli e Romagna. Segretario comunale socialista a Predappio, al termine della prima guerra mondiale si stabilì a Milano. Nel capoluogo lombardo iniziò a lavorare a Il Popolo d’Italia, giornale fondato e diretto dal fratello, e ne assunse la direzione nel 1922, anno in cui l’altro divenne presidente del Consiglio. Fedelissimo del regime, tra le persone di cui il duce si fidava di più, Arnaldo rese il giornale il principale organo di propaganda del governo. Col passare degli anni, e con la svolta del regime da autoritario a totalitario, Arnaldo allargò il suo potere all’intero settore della stampa: presidente della Commissione superiore per la stampa, presidente dell’Istituto di previdenza dei giornalisti italiani (Inpgi), diresse anche Il Resto del Carlino, Secolo Sera e L’Ambrosiano. Il fratello maggiore, poi, lo indicò come vicepresidente dell’Eiar, diventata Rai nel 1954. Di fatto, fu l’uomo che permise al regime di allargare il suo potere all’intero sistema mediatico.

Le tangenti pagate dagli americani cui abbiamo accennato (e le cui prove si trovavano nella borsa di Matteotti, misteriosamente scomparsa) furono utilizzate per finanziare Il Popolo d’Italia e la costruzione della Stazione centrale di Milano, «città di cui era vero e proprio Ras», sottolinea Canali sul Fatto. Morì nel capoluogo lombardo nel 1931, a soli 46 anni, per un arresto cardiaco.

Arnaldo Mussolini e Ida Dalser

Sposato con Augusta Bondanini dal 1909, e padre di tre figli, Arnaldo ha avuto per anni una relazione con la scrittrice pugliese Maddalena Santoro. Come il fratello professava pomposamente i valori della “famiglia”, ma anche lui ha vissuto più di un’avventura extraconiugale. Forse anche per questo, pare che il duce lo incaricò di occuparsi di Ida Dalser, “la prima moglie” di Benito (ma i due non furono mai sposati) da cui ebbe un figlio, Benito Albino. Dalser non sopportava il matrimonio del futuro presidente del Consiglio con Rachele Guidi, e in più di un’occasione diede in escandescenze creando a Mussolini non poco imbarazzo. Una volta ebbe un contrasto fisico con Guidi in ospedale, un’altra fece irruzione nella redazione del Popolo d’Italia, giornale che aveva contribuito a finanziare. Arrivato al potere, il duce emise diverse misure per impedirle di lasciare Trento, la città in cui viveva – precedentemente era stata bandita anche da Milano – ma le intemperanze non si fermarono. Secondo alcune ricostruzioni Arnaldo, che per un periodo fu anche tutore di Benito Albino, fece di tutto per mantenerla in ospedale e lontana dalla vita pubblica. Ida morì nel 1937 in manicomio, nel 1942 la stessa sorte toccò al figlio. Alla vicenda è dedicato il film del 2009 di Marco Bellocchio, Vincere.

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