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Armarsi un po’

Negli ultimi tre anni in Italia oltre la metà degli omicidi è stata commessa da chi detiene legalmente una pistola o un fucile. Che in totale sono quasi un milione e 300 mila. Dalla facilità di rilascio delle licenze alle lacune della politica, i motivi del pericoloso boom.

22 Luglio 2021 15:0222 Luglio 2021 16:58 Stefano Iannaccone

La sparatoria di Voghera è solo l’ultimo episodio e arriva a poche settimane di distanza dalla strage di Ardea. Due fatti distinti. Da un lato l’assessore leghista Massimo Adriatici che uccide Youns El Boussettaoui, marocchino 39 enne, irregolare e con precedenti per spaccio e reati contro il patrimonio, pare al culmine di una lite. Dall’altro la follia di Andrea Pignani, che ha aperto il fuoco, lasciando a terra i piccoli David e Daniel Fusinato e l’84enne Salvatore Ranieri, prima di togliersi la vita. Eppure tra le due storie c’è un legame: la detenzione legale di un’arma. Un fenomeno che in Italia è in preoccupante crescita. Nel caso di Pignani, poi, la pistola era stata ereditata dal padre, ex guardia giurata.

Il Covid non ha fermato la diffusione delle armi in Italia

I dati ufficiali forniti dalla polizia indicano come il numero di licenze sia addirittura aumentato nel 2020, anno delle chiusure per il Covid. La licenza per uso sportivo, quella per allenarsi ai poligoni, ha fatto registrare un balzo significativo, considerando appunto le difficoltà dell’attività pratica. Oggi se ne contano 582.531, nel 2019 erano 548.470. Un aumento di 34mila persone con la possibilità di avere un’arma in casa. La cifra sfiora il record assoluto registrato nel 2018, quando questo tipo di licenza aveva toccato quota 585.220, salvo scendere nei mesi successivi. Ora il trend è di nuovo quello della crescita. Il balzo è solo in parte mitigato al minor numero di licenze per la caccia, scese a 649.841 dalle 672.332 dell’anno precedente. In totale, sommando anche le licenze per difesa personale (circa 15mila) e quelle per le guardie giurate (37mila), in giro se ne contano un milione 285mila 662. Quasi 22mila in più in confronto al 2019. Impossibile, invece, conoscere il numero esatto di armi, non comunicato dal Viminale.

Indipendentemente dalle motivazioni del rilascio, resta un fatto incontrovertibile: quelle armi possono uccidere. «Riguardo all’omicidio di Voghera, saranno i magistrati inquirenti a fare chiarezza», premette Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa (Opal). L’esperto, con Tag43, si sofferma su altri dati, che raccontano l’importante della questione: «Nell’ultimo triennio in Italia un omicidio su dieci è stato commesso con armi regolarmente detenute. Sono stati almeno 131 gli omicidi perpetrati da legali detentori di armi a fronte di 91 omicidi di tipo mafioso e di 37 omicidi per furto o rapina». E la politica non sembra interessarsene troppo. «Prima del Conte I, sapete quando è stato affrontato per l’ultima volta l’argomento della legittima difesa nelle aule parlamentari? Quando al governo c’era il centrosinistra, che peraltro è stato al governo quasi sempre, ma allora era centrosinistra più Alfano», sottolinea Giuseppe Civati, editore di People da sempre attento alla questione delle armi.

La legge sulle armi approvata dal governo Lega e 5 Stelle

Il riferimento è alla riforma, approvata da Lega e Movimento 5 Stelle ed entrata in vigore nel settembre 2018. Questo testo consente di detenere tre pistole semiautomatiche con caricatori fino a 20 colpi, 12 fucili semiautomatici (la legge prima ne prevedeva 6) con numero illimitato di caricatori da 10 colpi e un numero illimitato di fucili da caccia oltre a centinaia di munizioni. Civati ricorda un altro aspetto: «Sulla legittima difesa si seguì la Lega nel folle tentativo di normare i concetti di nottetempo e turbamento. Nessuno fece parola delle conseguenze di una diffusione indiscriminata di armi presso la popolazione, né mise limiti e soglie in un “settore” in cui purtroppo esistono mille scorciatoie».

E in questo senso i dati di Opal lasciano poco spazio all’interpretazione: è più facile essere uccisi da un legale detentore di armi che dalla mafia o dai rapinatori. Il motivo? «Le norme per ottenere una licenza per armi sono troppo blande, evidenzia Beretta. «Non sono richiesti esami psichiatrici o tossicologici, né all’atto della domanda né al rinnovo che avviene ogni cinque anni con una semplice visita medica come quella per la patente di guida», evidenzia Beretta. Insomma, «se davvero vogliamo cercare di prevenire questi omicidi non è sufficiente dire basta armi ai privati, ma occorre rivedere le norme sulle licenze, introducendo l’obbligo di controlli clinici e tossicologici annuali da parte dei richiedenti. Soprattutto non bisognerebbe permettere di detenere un ampio numero di armi con semplici licenze per tiro sportivo (la licenza più richiesta anche da chi non pratica alcuna attività sportiva) o per la caccia».

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