«Ora parlano tanto di concorsi da rilanciare e da fare velocemente per assumere giovani di talento. Eppure nel mio caso avevo studiato come una matta per affrontare, da civile, quel bando per 1.148 allievi agenti della Polizia. E avevo superato tutte le prove in modo brillante. Il problema è che lo Stato fa le leggi e poi le interpreta in modo arbitrario. Così è difficilissimo far valere i propri diritti». Ricordando la sua storia a Tag43 è un fiume in piena Arianna Virgolino, la 32enne che sta affrontando un’odissea giudiziaria dopo essere stata esclusa da un bando della Polizia di Stato, nel 2017, per colpa di un tatuaggio al polso (un cuore) risalente ai suoi 18 anni e già rimosso con svariate e dolorose sedute laser al momento del concorso.
La sentenza del Consiglio di Stato e l’esclusione dalla Polizia
Il Tar, di fronte all’evidenza di una cicatrice pressoché invisibile, aveva dato ragione a lei e ad altri sei colleghi (tutte donne tranne uno): Arianna aveva così realizzato il sogno della divisa, per il quale aveva abbandonato anche un lavoro a tempo indeterminato, e si era fatta subito valere. Il 7 novembre 2019, infatti, aveva ricevuto un premio del questore di Lodi dopo essere intervenuta a sedare una rissa con bottiglie di vetro, una sera a Casalpusterlengo, mentre era fuori servizio. Peccato che, a seguito dell’appello del dipartimento della Ps, proprio quello stesso giorno fosse arrivata anche la sospensione, cui seguì la sentenza del Consiglio di Stato che di fatto la escludeva di nuovo dalla Polizia per quel vecchio tatuaggio che da anni l’agente non aveva più.
Quelle disparità di trattamento del Viminale
Solo quattro mesi di servizio effettivo e un esito forse definitivo che però non spegne il carattere vulcanico e la voglia di lottare di Virgolino. Anche perché la norma di riferimento, un vecchio Dpr del 1983 modificato poi nel 1990, dà luogo a sentenze della giustizia amministrativa spesso difformi tra loro, con il ministero dell’Interno, la controparte dei candidati ricorrenti, protagonista di prese di posizione che seguono di volta in volta logiche diverse e imperscrutabili. Questo atteggiamento ballerino, come ha verificato Tag43, è candidamente ammesso in una sentenza della quarta sezione Consiglio di Stato, datata 11 dicembre 2020. I giudici parlano di «diversificati comportamenti processuali che ha avuto il ministero dell’Interno nei molteplici giudizi che stanno riguardando il concorso per l’assunzione di 1851 allievi della Polizia di Stato (lo scorrimento delle graduatorie del bando cui partecipò anche Virgolino, ndr)». I magistrati amministrativi ammettono che il Viminale «a volte ha impugnato solo le sentenze di accoglimento dei ricorsi di primo grado e non anche le sfavorevoli ordinanze cautelari che le hanno precedute; a volte ha impugnato le sentenze di accoglimento dei ricorsi di primo grado dopo avere impugnato le sfavorevoli ordinanze cautelari che le hanno precedute (talvolta, con appelli dichiarati tardivi, come è avvenuto nel corso del primo grado di cognizione del presente giudizio); a volte ha depositato atti di rinuncia, in prossimità delle udienze di definizione dei suoi appelli». Per concludere con sorprendente franchezza che si tratta di circostanze che hanno «comportato una diversità di trattamento, in concreto, delle singole posizioni pur identiche o assimilabili tra di loro», anche se poi esse «non possono avere rilevanza nel singolo giudizio nel quale si deve fare consueta e doverosa applicazione delle disposizioni vigenti».

Per Arianna nessun riesame medico
Arianna segnala casi di colleghi esclusi in sede di bando dopo i test psico-fisici per evidenti problemi mentali, altro che un tatuaggio cancellato, e poi riammessi a seguito di ricorso al Tar. Ma anche grazie a nuovi accertamenti (richiesti dall’Interno alla direzione centrale Sanità della Polizia di Stato) che hanno sconfessato l’irripetibilità della valutazione della commissione medica esaminatrice (violando il sacrosanto principio del tempus regit actum) e hanno inopinatamente spinto il ministero a desistere dall’appellare la sentenza di primo grado davanti al Consiglio di Stato. «A noi invece non è stato concesso nemmeno un riesame all’ospedale del Celio. La mia cicatrice era quasi sparita già in sede di concorso: se mi avessero sottoposto a un nuovo controllo medico che revisionava gli esami della commissione, avrei stravinto in tutte le sedi, non solo al Tar», aggiunge Virgolino. D’altronde la stessa quarta sezione del Consiglio di Stato, il 16 marzo 2020, scriveva: «Il provvedimento di esclusione da un concorso preordinato al reclutamento di personale della Polizia di Stato è illegittimo qualora sia basato sull’equiparazione della presenza di un tatuaggio in via di rimozione a quella di un tatuaggio tout court». Non solo, ma aggiungeva che «l’accertamento dei requisiti fisici dei concorrenti deve avvenire avuto riguardo al momento della scadenza del termine di presentazione della domanda della procedura selettiva», ribadendo dunque il valore del tempus regit actum e della irripetibilità degli accertamenti psico-fisici.
L’ombra della discriminazione di genere
«Il mio obiettivo adesso è provare a percorrere la strada della revocazione della sentenza del Consiglio di Stato. Voglio tornare in Polizia. Se servisse, sono pronta ad arrivare in Europa e a far ricorso alla Cedu», la Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Arianna è convinta di aver ragione e di essere vittima di un errore giudiziario: nel frattempo altri casi simili al suo sono emersi nell’ultimo anno. La 32enne, comunque, non ne fa tanto una battaglia di genere. La senatrice del M5s, Cinzia Leone, invece sì: «C’è una discriminazione delle donne anche su questo terreno. D’altronde, a mio avviso, non è un tatuaggio a compromettere l’operato dell’agente o il decoro della divisa». Leone ha presentato una proposta di modifica della normativa: «Però sulla formulazione siamo aperti a contributi e ragionamenti. Purtroppo dobbiamo lottare ancora molto per far passare questi temi».