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Sangue e Arena

La lirica che rischia di essere soppiantata dal pop, vedi Il Volo. Le misure di sicurezza anti-Covid. Ma soprattutto i tagli al personale, dall’orchestra al coro, fino ai figuranti. Tutte le incognite della stagione di Verona.

10 Giugno 2021 16:0810 Giugno 2021 16:10 Cesare Galla
i problemi della stagione all'Arena di Verona

Gronda il trionfalismo sulla “ripartenza” del più grande teatro all’aperto del mondo, l’Arena di Verona. Accreditato ora anche del record europeo di capienza per gli spazi di spettacolo en plein air in era-Covid, grazie alle deroghe ai protocolli tuttora in vigore, che hanno permesso di portare il tetto a 6 mila spettatori. Ma già il fatto che il primo spettacolo, il 5 giugno, fosse un musicalmente mediocre omaggio a Ennio Morricone, ridotto a pillole pop dal trio vocale Il Volo, senza peraltro che si raggiungesse il tutto esaurito in presenza (come da cronache del Corriere di Verona, che ha parlato di “circa 5 mila spettatori”), mostra che oltre il sollievo, l’almeno parziale uscita dall’emergenza riporta alla ribalta le problematiche che attraversano la vita musicale veronese ormai da anni.

C’è il rischio che all’Arena la lirica resti primaria solo sulla carta

Il concerto del Volo faceva parte del programma di serate pop-rock che sono gestite dalla Arena di Verona Srl, guidata da Gianmarco Mazzi, potente eminenza grigia della musica leggera italiana, sei volte direttore artistico del Festival di Sanremo, molto vicino al sindaco Federico Sboarina. La società è interamente controllata dalla Fondazione lirica, ma non è un segreto che Mazzi e il sovrintendente-direttore artistico dell’Arena, Cecilia Gasdia, siano in sostanza separati in casa e ormai quasi concorrenti. Prima della pandemia, il trend era stato quello di una continua crescita dei concerti leggeri, che erano usciti dai “recinti” di calendario in cui erano collocati (inizio e fine estate) per occupare date libere un po’ ovunque fra luglio e agosto, fino ad assommare un numero di show pari se non leggermente superiore alle alzate di sipario della lirica. Che rischia così di restare “primaria” soltanto sulla carta. Mazzi ha giocato d’anticipo e la serata con Il Volo – amplificata dalla diretta su Raiuno, prova delle sue notevoli relazioni con la tivù di Stato – ha avuto l’effetto di far passare per inaugurazione dell’Arena un concerto pop, come mai era avvenuto in passato.

Dopo Emma e il Volo, la vera inaugurazione sarà con Muti 

Non sappiamo cosa ne pensi l’iroso Riccardo Muti, occupatissimo in questo periodo con la sua super-sovvenzionata orchestra giovanile Cherubini. Il direttore napoletano è la stella della “vera” inaugurazione areniana, in calendario il 19 e il 22 giugno con due esecuzioni in forma di concerto di Aida, l’opera-simbolo dell’Arena. Ma prima di lui ci sono già stati anche un paio di concerti della cantante Emma, ancora a spostare l’attenzione mediatica sull’Arena come spazio privilegiato del pop. E a svelare al pubblico come si svolgeranno gli spettacoli quest’estate, visto che è già operativo sul palcoscenico il monumentale (siamo in Arena, altro non si dà…) led wall che sarà l’elemento fondamentale e comune a tutti gli allestimenti lirici. Muti tornerà nell’anfiteatro romano 41 anni dopo la sua ultima e unica apparizione, avvenuta nell’estate del 1980, pochi giorni dopo la strage di Bologna, con un Requiem di Verdi particolarmente denso di significati extramusicali. E sarà il primo direttore a misurarsi con i cambiamenti che la presente stagione porta con sé, nell’incrocio fra le inderogabili necessità di sicurezza sanitaria per le rappresentazioni e la tendenza alla riduzione del personale, specie artistico.

le incognite sulla stagione all'arena di verona
Riccardo Muti inaugurerà l’Arena di Verona il 19 e il 22 giugno (Getty Images).

La riduzione degli organici e la preoccupazione dei dipendenti areniani

Le esecuzioni operistiche di quest’estate, infatti, secondo quanto trapela saranno caratterizzate da un certo ridimensionamento negli organici: orchestra meno folta nella sezione degli archi, coro molto meno numeroso rispetto all’abituale organico estivo, passando da 160 a 120 elementi. Fra l’altro, si prevede che durante gli spettacoli i coristi saranno posizionati staticamente su pedane ai lati della scena, uomini da una parte e donne dall’altra, con le problematiche esecutive che si possono immaginare. Ai minimi rispetto al passato anche i figuranti, circa 150 quelli che verranno ingaggiati e che si muoveranno in scena a quanto pare muniti di mascherina. Si capisce dunque che i dipendenti areniani stiano arrivando alla “loro” inaugurazione con un misto di preoccupazione e insoddisfazione. Il dialogo sindacale sulla rimodulazione della pianta organica non decolla e il confronto è stato spostato a livello nazionale.

 

Certo, è difficile immaginare che dopo la forte cura dimagrante innescata dalla crisi esplosa cinque anni fa (fra il 2016 e il 2018 i dipendenti erano passati da oltre 280 a poco più di 220) si possa realizzare un’inversione di tendenza. Vedere che l’orizzonte è tutt’altro che chiaro, a prescindere dai problemi pandemici, genera un nervosismo anche comprensibile, al quale non pare che giungano risposte rassicuranti. Anzi, è emerso che nel procedere alle assunzioni a termine indispensabili per la realizzazione del festival in Arena (soprattutto orchestrali, coristi e figuranti) la Fondazione ha proposto ai candidati un accordo definito di “conciliazione preventiva” che richiede una formale rinuncia a ogni azione legale, peraltro dietro corresponsione di una indennità risarcitoria fra i mille e i 300 euro. La questione è già passata a livello politico, e il consigliere comunale dell’opposizione di sinistra, Michele Bertucco, ha annunciato sulla questione un’interrogazione al sindaco Sboarina, che è anche presidente della Fondazione. Sullo sfondo di questa inedita e per vari aspetti controversa iniziativa si delinea un passaggio giudiziario di non poco conto: a metà settembre, infatti, dovrebbero giungere alla sentenza in Corte d’Appello a Venezia una novantina di cause, per stabilizzazione e per contenziosi vari, intentate da dipendenti non stabili nei confronti della Fondazione. Una spada di Damocle sull’equilibrio dei conti della Fondazione, il cui bilancio 2020, non ancora approvato, dovrebbe secondo le previsioni avere chiuso in positivo nonostante il crollo delle attività causa pandemia, grazie alle politiche di salvaguardia attivate dal governo.

Un festival pieno di incognite nonostante l’ottimismo ostentato dal marketing

In questa situazione si va verso un festival dalle molte incognite, oltre l’ottimismo ostentato nelle varie iniziative di marketing e fundraising messe in campo. Fra queste, spicca il progetto 67 colonne per l’Arena, che ha chiamato gli imprenditori veronesi, Gianluca Rana e Sandro Veronesi in testa, al sostegno economico del festival. Bisognerà capire quanto il pubblico dell’opera sia pronto a tornare per una stagione che si annuncia radicalmente diversa – dal punto di vista degli allestimenti – rispetto alle consuetudini kolossal, più o meno tradizionali, dell’anfiteatro di Verona. Sarà dominante la tecnologia delle proiezioni, multimedia evidentemente diversificati titolo per titolo, realizzati in collaborazione con istituzioni culturali più o meno importanti, dal Museo Egizio di Torino a siti archeologici e ambientali vari in Italia. Movimenti di immagini ed effetti di luce, pare di capire, ma poco teatro sul palco. E poca regia. Del resto, finora nelle locandine on line di nomi di registi non ne appaiono proprio. Così, l’unico elemento sicuro è l’interesse degli appassionati per cast vocali di notevole livello. Le voci di dentro parlano di un numero di spettatori, 3 mila, raggiunto il quale la sostenibilità economica delle produzioni sarebbe sostanzialmente garantita. In pratica, per non perderci basterebbe che tutti gli spettacoli fossero pieni a metà. Il botteghino telematico dirà. Mentre scriviamo, la disponibilità di biglietti è amplissima per quasi tutte le serate e non si segnalano esauriti, neanche per Muti. La partita è cruciale – si sa quanto conti il festival in Arena per l’economia veronese, con il suo indotto da mezzo miliardo di euro – e tutt’altro che già decisa.

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