L’Arabia Saudita cambia musica

Camilla Curcio
10/02/2022

Concerti, festival del cinema e una maggiore considerazione per donne e artisti omosessuali. Riyad da qualche mese pare aver cambiato pelle. Me se per alcuni è uno specchietto per le allodole, per altri solo un modo di rimpinguare le casse.

L’Arabia Saudita cambia musica

Alla fine del 2021, dall’Arabia Saudita, sono arrivate immagini decisamente insolite. Ragazzi e soprattutto ragazze, impegnati a ballare sulle note delle più celebri hit occidentali. Attrici locali ritratte dall’obiettivo dei fotografi mentre posavano sul red carpet di una rassegna cinematografica, sfoggiando vestiti eleganti e braccia scoperte. Per i alcuni la diapositiva di un cambiamento sociale in progress. Per altri, semplicemente una strategia economica. C’è poi una terza corrente, che lo ritiene uno stratagemma per distogliere l’attenzione da questioni spinose e ripulirsi l’immagine.

Soundstorm festival, in Arabia Saudita per la prima volta donne protagoniste 

Com’è noto, l’Arabia Saudita è una delle roccaforti dell’Islam. È proprio lì, infatti, che ha avuto origine il wahabismo, la visione fondamentalista della dottrina religiosa. Proprio per questo quando, nel 2017, il Governo ha concesso alle donne la possibilità di guidare la macchina, la notizia ha sorpreso. Tanti hanno celebrato questo passo così importante verso l’emancipazione femminile ma c’è stato anche chi ha pensato, sin dall’inizio, non si trattasse altro che di uno dei tasselli del cosiddetto Vision 2030, un piano d’azione finalizzato a ridurre la dipendenza dal petrolio. Obiettivo a cui risponderebbe anche l’organizzazione di eventi mondani come il festival di musica elettronica Soundstorm. Che, messo in piedi poco fuori Riad dal 16 al 19 dicembre, in occasione della sua seconda edizione, ha visto centinaia di migliaia di persone scatenarsi in libertà, senza distinzione di genere e senza abiti tradizionali. Ma non è tutto. Tra gli artisti invitati a esibirsi, per la maggior parte originari del Medio Oriente, figuravano anche 10 deejay saudite donne. Un atto decisamente rivoluzionario per uno stato che, fino a poco tempo prima, aveva messo alla gogna il ballo e proibiva a uomini e donne di frequentare gli stessi posti.

l'Arabia Saudita tra concerti e festival: rivoluzione o strategia?
Uno dei concerti del Soundstorm Festival (Getty Images)

Cosa sta cambiando nell’industria del cinema saudita

Un cambio di rotta visibile anche nel cinema. Non è passata inosservata agli occhi del pubblico del Red Sea International Film Festival, il primo nella storia del regno, la vittoria del premio come miglior attore da parte di Adam Ali, di origine anglo-libica e dichiaratamente omosessuale. Così come il riconoscimento conferito ad Haifaa al Mansour, la prima regista a girare una pellicola in Arabia Saudita (si tratta del lungometraggio Wadjda) e a essere nominata a premi internazionali. Traguardi di un certo valore, considerando che è solo dal 2017 che le sale cinematografiche, chiuse a partire dagli Anni Ottanta, sono state riaperte al pubblico.

L’Arabia Saudita vuole convincere i cittadini a spendere nel Paese e non all’estero

A spingere i vertici ad agire, secondo quanto riportato da El País, sarebbero stati dei report che hanno rivelato come, nel 2017, i cittadini abbiano speso cifre consistenti nei paesi vicini per attività e iniziative legate al tempo libero. In totale una quota corrispondente a circa il 5 per cento del PIL. Vision 2030 è nata proprio per correggere il tiro, dirottare i soldi all’interno del regno e raddoppiare gli utili. Non sorprende, dunque, che il Soundstorm sia stato affidato a un’impresa saudita, la MDLBeast e che il genere musicale su cui è ricaduta la scelta sia stata l’elettronica, visto che il 70 per cento della popolazione ha meno di 35 anni. 

l'Arabia Saudita tra concerti e festival: rivoluzione o strategia?
Un evento del Soundstorm Music Festival (Getty Images)

I dubbi di Human Rights Watch sull’apertura dell’Arabia Saudita

Tra quanti guardano con sospetto a queste novità c’è anche Human Rights Watch, convinta si tratti semplicemente di «escamotage adottati per spostare il focus dalle ripetute violazioni dei diritti umani». Motivazione per cui sono stati diversi i concerti che, in passato, sono stati cancellati o trascinati al centro delle polemiche: da quello di Nicki Minaj nel 2019, sospeso dopo le critiche di non profit che denunciavano le continue vessazioni subite dalle persone LGBTQ+ a quello di Justin Bieber, che ha deciso di cantare nonostante l’invito a non farlo da parte di organizzazioni internazionali e attivisti (tra cui anche la compagna del giornalista Jamal Khashoggi). Decifrare quel che si nasconde dietro alle mosse del potere non è semplice: solo il tempo dirà se artisti e manifestazioni sono pedine di una grande operazione di ripresa economica o attori protagonisti di un’effettiva e storica apertura dell’Arabia Saudita alla modernità.