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Non permettiamo all’Arabia Saudita di usare il calcio per ripulirsi

I sauditi si sono proposti di pagare i nuovi stadi in Grecia e in Egitto per ospitare assieme a loro l’edizione 2030 del Mondiale. Ennesimo tentativo di sportwashing di bin Salman, per nascondere enormi problemi di rispetto dei diritti umani e dei lavoratori. E la Fifa di Infantino acconsente.

11 Febbraio 2023 09:02 Giulio Cavalli
Mondiale, come l'Arabia Saudita sta sfruttando gli sforzi del Qatar

L’Arabia Saudita ha capito che per completare il suo “rinascimento” ha bisogna del testimonial più influente di tutti, di qualsiasi ex capo di Stato: il pallone. La proposta è da far girare la testa: i sauditi si sono offerti di pagare i nuovi stadi in Grecia e in Egitto se avessero accettato di collaborare a una candidatura.

Il 75 per cento delle partite dovrebbe giocarsi nello Stato del Golfo

L’offerta (dal valore spropositato di diversi miliardi di euro) è stata oggetto di una conversazione privata tra Mohammed bin Salman, il sovrano de facto dell’Arabia Saudita, e il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis, nell’estate 2022, secondo un alto funzionario che ne ha parlato con i giornalisti di Politico.eu. Tra le condizioni ci sarebbero il 75 per cento delle partite che dovrebbe giocarsi nello Stato del Golfo. Non è difficile comprendere come dietro un’operazione di questa portata ci sia il disegno, da parte di bin Salman, di creare un asse di alleanze transcontinentali che peserebbe in fase di voto.

Omicidio Khashoggi, archiviato negli Usa il caso contro il principe del'Arabia Saudita bin Salman, che gode dell'immunità.
Il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman. (Getty Images)

Contando i voti, la proposta ha forti chance di vittoria

Nel tentativo di convincere i membri dell’organo di governo mondiale del calcio, la Fifa, delle virtù dell’offerta guidata dall’Arabia Saudita, il torneo proposto vedrebbe partite in tre continenti, fornendo un equilibrio geografico che supererebbe lo scoglio di un Mondiale che solo l’anno scorso è stato giocato in Qatar. I principali rivali sauditi sono un’offerta congiunta di Spagna, Portogallo e Ucraina dall’Europa e un’offerta sudamericana di Argentina, Uruguay, Paraguay e Cile. La decisione su chi ospiterà la Coppa del Mondo 2030 è sottoposta a un voto pubblico dell’intero Congresso Fifa, composto da più di 200 associazioni di tutto il mondo. Se i Paesi africani, attratti dalla presenza dell’Egitto e dagli investimenti sauditi in tutta l’Africa, convergono sull’idea di bin Salman e le nazioni asiatiche fanno lo stesso, mentre la Grecia si sottrae ad alcuni voti europei, la proposta guidata dai sauditi avrà forti chance di vittoria.

Dopo boxe e Formula 1, ora ci siamo col calcio

La Coppa del Mondo di calcio sarebbe il culmine dell’ambiziosa strategia del principe saudita che è già riuscito a ospitare incontri di boxe, calcio europeo e la Formula 1. «L’Arabia Saudita sta strategicamente cercando di posizionarsi come un centro afro-eurasiano, il centro di un nuovo ordine mondiale», ha spiegato Simon Chadwick, professore di sport ed economia geopolitica alla Skema Business School di Parigi, a proposito della candidatura saudita per i mondiali. «Questo posizionamento consentirebbe all’Arabia Saudita di esercitare un potere e un’influenza significativi in una vasta area geografica, che sta cercando di raggiungere costruendo relazioni con partner chiave».

Mondiale, come l'Arabia Saudita sta sfruttando gli sforzi del Qatar
Gianni Infantino con Bin Salman e al Thani. (Getty)

Calpestati i diritti di donne e persone Lgbtq+

Ovviamente le organizzazioni umanitarie hanno sottolineato come lo sportwashing (come già avvenuto in Qatar) servirebbe a nascondere un enorme problema di diritti (per per persone Lgbtq+, per le donne e per i lavoratori, solo per fare qualche esempio): «Finché l’Arabia Saudita discrimina le persone omosessuali e punisce le donne per l’attivismo per i diritti umani e non ha protezioni per i lavoratori migranti che costruirebbero la maggior parte dei nuovi stadi e strutture, il Paese non può soddisfare i requisiti sui diritti umani che la Fifa ha già in atto», ha spiegato Minky Worden, direttore di Human Rights Watch.

La ragazza condannata a 34 anni di carcere per aver usato Twitter

Solo ad agosto dell’anno scorso una studentessa saudita che studiava all’Università di Leeds, Salma al-Shehab, è stata condannata a 34 anni di carcere per avere usato Twitter per seguire dissidenti e attivisti con la solita accusa di «mettere a rischio la sicurezza nazionale». Anche in quel caso i soldi però hanno pesato sui diritti: Twitter non prese nessuna posizione sulla questione. Del resto uno dei maggiori investitori (prima dell’avvento di Elon Musk) era il miliardario saudita Prince Alwaleed bin Talal, che possedeva più del 5 per cento di Twitter attraverso la sua società di investimento, la Kingdom Holdings.

Arabia Saudita, donna condannata a 34 anni di carcere per aver usato Twitter
Salma al-Shehab con la sua famiglia.

Arabia diventata strategica per cavi sottomarini e rinnovabili

Bin Salman, tornato nelle grazie dell’Occidente per merito di una crisi energetica innescata dalla guerra della Russia contro l’Ucraina, ha firmato una serie di accordi bilaterali ad Atene quest’estate, tra cui un nuovo accordo sui cavi dati sottomarini e un accordo sulle energie rinnovabili, impegnandosi a rendere la Grecia un centro energetico per la distribuzione di «idrogeno verde». Negli ultimi anni anche la Fifa si è avviata ai sauditi: Il presidente della Fifa Gianni Infantino ha persino partecipato a una partita di boxe a Jeddah, assistendo all’incontro al fianco del controverso principe ereditario saudita. Rotola il pallone ma dietro, invisibili, si muovono i soldi. Per i diritti al massimo si troverà ancora una volta qualche spazio in uno spot pubblicitario o in qualche cartellone a bordo campo.

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