Se ne è andato Antonio Pennacchi, 71 anni, vincitore nel 2010 del Premio Strega con Canale Mussolini, romanzo sulla bonifica dell’Agro Pontino. Fasciocomunista per (sua) definizione, ex operaio laureato nel 1983 in Lettere e Filosofia alla Sapienza di Roma durante un periodo di cassa integrazione, cominciò a scrivere negli Anni 90. Il debutto in libreria nel 1995 con Mammut, seguito da Palude. Storia d’amore, di spettri e di trapianti. Nel 2003 uscì il romanzo autobiografico Il fasciocomunista. Vita scriteriata di Accio Benassi, da cui nel 2007 è stato tratto il film Mio fratello è figlio unico, diretto da Daniele Luchetti con Elio Germano, Riccardo Scamarcio e Luca Zingaretti.
Difficile, quasi impossibile, affibbiargli una etichetta. Politicamente militò prima nel Msi poi passò alla sinistra. Dopo una parentesi maoista del 68 approdò al Partito socialista quindi al Pci. Lo stesso vale per la sua militanza sindacale. Iscritto alla Cgil ne venne espulso. Quindi passò alla Uil che lasciò per tornare alla Cgil. Finì che venne cacciato per la seconda volta. Sempre controcorrente, poco incline ai salotti buoni della letteratura e alla diplomazia, in una delle sue ultime interviste a Rolling Stone lo scorso giugno, a pochi giorni dall’annuncio della cinquina dello Strega, confessò: «Io ci sarei andato, ma non mi ci hanno voluto». Non solo. Allergico agli studi televisivi – «mi rifiuto di andare in quei teatrini, mi hanno rotto i coglioni», ammise – disertava la tivù anche per promuovere i suoi libri.
Il valore dell’empatia
Sempre a Rolling Stone disse: «La vita di ognuno di noi è costellata più dai dolori che dalle gioie. Per cui, l’unica cosa che può salvarci è il senso del dovere. Non abbandonarci al dolore ma lottando per cercare di uscirne, io per esempio sublimandolo nella letteratura. Per fare questo provo a giocare anche con l’ironia, senza prendermi troppo sul serio e soprattutto considerando che il destino tragico dell’esistenza non riguarda solo noi stessi, ma è destino comune dell’essere umano. Quindi l’unica cosa che possiamo fare è riconoscerci completamente negli altri. Non c’è scampo fuori dall’empatia». Parole che suonano come un testamento laico.