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Covid e anticorpi monoclonali: accelerano la sperimentazione e la somministrazione

La richiesta con l’ultima onda di contagio è triplicata, ma l’utilizzo degli anticorpo va a singhiozzo con differenze tra regioni e regioni

7 Dicembre 2021 12:177 Dicembre 2021 12:29 Redazione
Covid: accelera la sperimentazione sugli anticorpi monoclonali

La speranza per combattere il virus in maniera rapida si rinnova con gli anticorpi monoclonali. Con la salita della curva epidemica è infatti anche cresciuto l’uso di questi anticorpi. Si tratta degli unici farmaci disponibili tra quelli nati esclusivamente per combattere il virus. Secondo i dati più recenti si è passati da 500 somministrazioni al giorno a oltre il triplo, cioè 1.870.

A chi sono destinati i monoclonali

Al momento sono destinati solo a coloro che rischiano di sviluppare una malattia grave perché hanno condizioni di salute precarie. Il limite è che, perché siano efficaci,  devono essere somministrati poco dopo l’infezione, quindi quando ancora non si sa se quella persona avrà poi problemi importanti. Teoricamente quindi coloro a cui vengono somministrati dovrebbero essere pazienti che hanno avuto in via prioritaria il vaccino, anche se ci sono dei fragili che non hanno ottenuto coperture.

Monoclonali: una sola dose riduce dell’80 per cento i ricoveri

Secondo Evelina Tacconelli, 54 anni, professore ordinario di Malattie infettive e direttore della clinica di Malattie infettive dell’azienda ospedaliera universitaria di Verona, responsabile del gruppo di ricerca sulle infezioni resistenti agli antibiotici dell’università di Tübingen in Germania, intervistata da Avvenire «Una sola dose di anticorpi monoclonali, somministrata al paziente con Covid-19 nei primi tre giorni di infezione, in una sola ora riduce di oltre l´80% il rischio di ricovero ospedaliero. Non solo evita la malattia severa, quindi la terapia intensiva o addirittura il decesso, ma costa infinitamente meno di un ricovero. Eppure in Italia in alcune regioni i monoclonali non sono stati utilizzati, addirittura sono stati trasferiti in altre regioni per evitare che scadessero».

La regione in testa per il maggior utilizzo è il Veneto, con 3.703 persone inserite nei registri di monitoraggio. Seguono Lazio (2.903), Toscana (2.463) e Lombardia (1.297). C’è chi ne ha invece usati pochissimi, meno di 300 e si tratta prevalentemente di realtà locali piccole: Calabria, Umbria, Basilicata, Sardegna, Provincia di Trento, Molise, Provincia di Bolzano.

È l’agenzia del farmaco Aifa a tenere il registro delle richieste e delle somministrazioni di questi medicinali.

Francesco Menichetti, infettivologo di Pisa, ha curato circa 400 pazienti nel centro che ha diretto fino a poche settimane fa. «I risultati sono confortanti. Aiutano nella gestione dell’infezione precoce evitando ospedalizzazioni, Covid grave. Riscontro tangibile».

Perché non si vedono gli effetti sull’onda Covid

Il motivo per il quale, però, gli effetti sull’andamento epidemico non si vedono è chiaro. «Se finora hai usato meno di 20mila trattamenti in tutta Italia è impossibile vedere qualcosa. C’è scarsa attenzione nei confronti di questa possibilità terapeutica e scarsa organizzazione, perché è necessario intervenire presto. Chi è organizzato ad esempio con i medici di famiglia che segnalano i casi precoci, riesce a somministrarli. Purtroppo non si tratta di un antivirale orale ma va dato in ospedale a persone selezionate. Tra l’altro se si lasciano in frigo senza utilizzarli scadono, cosa che per molti lotti succederà a gennaio febbraio».

 

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