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La storia del Diario di Anna Frank

Il 12 giugno 1942, in occasione del suo 13esimo compleanno, le venne regalato un quaderno che sarebbe diventato una delle testimonianze più toccanti della Shoah. Storia del diario di Anna Frank.

12 Giugno 2021 06:00 Camilla Curcio
storia del diario di anna frank

Il 12 giugno 1942, giorno del suo 13esimo compleanno, Anna Frank ricevette in regalo quel diario che, di lì a poco, sarebbe diventato il suo più stretto confidente. Ma soprattutto testimonianza dell’orrore nazista.

La fuga dei Frank ad Amsterdam e il nascondiglio segreto al 263 di via Prinsengracht

Fuggiti dalla Germania quando i nazisti salirono al potere, Anna e la sua famiglia si stabilirono ad Amsterdam. Neppure l’Olanda, tuttavia, riuscì a garantire loro la tranquillità: nel 1940, i tedeschi occuparono la capitale e, due anni dopo, diedero il via ai rastrellamenti e alla deportazione degli ebrei nei campi di sterminio. Per salvarsi, la famiglia Frank – Anna, il padre Otto, la madre Edith e la sorella Margot – fu costretta, nel luglio 1942, a lasciare tutto per nascondersi in un appartamento segreto, al 263 di via Prinsengracht. Più tardi, si sarebbero uniti a loro altri quattro ebrei olandesi, i Van Daan. Nel diario, alle pagine piene di aneddoti sulla scuola, sui compagni, sugli amori immaginari, sulla routine di una normale 13enne, si sostituì così il racconto di una lunga e difficile clausura, fatta di giornate passate a pelare patate, declamare poesie, leggere, scrivere, discutere, aspettare buone notizie e abituarsi a non temere il peggio.

Anna Frank e il sogno di diventare scrittrice

Tra il diario e la stesura di novelle, fiabe e saggi (che, nel 1943, iniziò a ricopiare e che divennero poi la raccolta Racconti dell’alloggio segreto), Anna continuò a coltivare il sogno di diventare giornalista e scrittrice. Una speranza che le sembrò potersi concretizzare quando, il 28 marzo 1944, sentì alla radio Gerrit Bolkestein, membro del governo olandese in esilio, che chiedeva ai concittadini di conservare lettere e scritti che documentassero la vita durante l’occupazione tedesca. Da quel momento, Anna iniziò a lavorare al diario quasi come fosse un lavoro nella speranza di poterlo pubblicare a guerra finita con il titolo L’Appartamento segreto. Dal 20 maggio 1944 fino al 4 agosto, giorno dell’arresto, riuscì a ricopiare più di due terzi dei quaderni originali su fogli sparsi, rimuovendo alcune parti e ritoccandone altre. «Immagina come sarebbe interessante se pubblicassi una versione romanzata de L’Appartamento segreto. Il titolo farebbe pensare a un romanzo giallo. Ma, seriamente, sarebbe piuttosto buffo se, 10 anni dopo la guerra, noi ebrei parlassimo di come abbiamo vissuto, di cosa abbiamo mangiato o di cosa abbiamo parlato mentre vivevamo qui. Anche se ti dico tante cose, sai ancora solo una piccola parte di com’è la nostra vita».

La pubblicazione del libro e il successo mondiale

Il 4 agosto 1944 la bolla che fino a quel momento l’aveva protetta fu distrutta. La Gestapo fece irruzione nell’alloggio e i Frank e i Van Daan vennero arrestati e deportati ad Auschwitz. La madre Edith morì nel campo, nel gennaio 1945. Anna e sua sorella, invece, si ammalarono di tifo a Bergen Belsen (dove erano state trasferite). La malattia le uccise entrambe nel marzo dello stesso anno. L’unico sopravvissuto fu il padre Otto che, qualche tempo dopo, raccontò il momento in cui i nazisti fecero irruzione nell’appartamento e, per poco, non si appropriarono del diario della figlia. A preservare gli scritti di Anna fu Miep Gies, uno degli olandesi che avevano aiutato la famiglia a nascondersi. Gies restituì il materiale al capofamiglia che lo riorganizzò facendolo pubblicare. Il libro venne dato alle stampe per la prima volta nel 1947, in olandese, col titolo originale Il retrocasa. Nel 1952 fu pubblicato negli Stati Uniti. In pochi mesi divenne un bestseller, fu tradotto in oltre 70 lingue e, nel 1956, vinse il Premio Pulitzer. In Italia, arrivò in libreria nel 1954, con la prefazione di Natalia Ginzburg.

Le tre versioni e le censure di Otto Frank

Del diario esistono tre versioni. La prima è la stesura a cui Anna aveva lavorato tra il giugno 1942 e l’agosto 1944. La seconda, invece, è la versione rivista a cui stava lavorando sperando in una pubblicazione. La terza è quella curata dal padre, ulteriormente modificata e poi trasformata in libro diventato una delle testimonianze storiche più preziose sulla Shoah. Tra una correzione e l’altra il padre cancellò una serie di passi che non reputava corretto far diventare di pubblico dominio. Si trattava di critiche di Anna alla madre, annotazioni relative alla sessualità, appunti e osservazioni sul ruolo della donna nella società. Nel 2018 è stato possibile recuperare dal materiale originale due pagine degli appunti di Anna. Coperte da carta gommata marrone, forse dalla stessa autrice, contenevano quattro barzellette che la ragazza aveva definito “sporche” e 33 righe cancellate di appunti su sesso, prostituzione e contraccezione. Parole che restituiscono l’immagine di un’adolescente dotata di un umorismo vivace e un’intelligenza acuta.

I negazionisti e la questione dell’autenticità del Diario

Fin dai primi Anni 50, anche il Diario è finito nel tritacarne negazionista. Venne sostenuto che era stato scritto con una biro e quindi che si trattasse di un falso scritto dopo il 1945. In realtà, vari test hanno confermato che nessuna pagina è stata scritta con quel tipo di penna. Ma non è tutto. L’altra obiezione sollevata dai negazionisti riguarda la pagina del 9 ottobre 1942, in cui si fa riferimento alle camere a gas, la cui esistenza in quegli anni non sarebbe stata ancora nota. Tutto puntualmente smentito dal fatto che, già nel giugno del 1942, la Bbc (ascoltata in segreto nel rifugio) denunciava l’esistenza di campi di sterminio. Dopo la morte di Otto Frank nel 1980, il diario originale fu ereditato dall’Istituto dei Paesi Bassi per la documentazione di guerra che, nel 1986, ne commissionò una perizia forense. L’esame ne attestò una volta per tutte l’autenticità, smentendo le idee di Robert Faurisson, convinto che si trattasse di un falso perché lo stile e la calligrafia di Anna Frank non sembravano quelle di un’adolescente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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