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Resurrezione animale

Uno studio recente ha dimostrato come, attraverso reintroduzioni e allevamenti in cattività, sia possibile salvare specie dal destino apparentemente segnato. La loro sopravvivenza, inoltre, aiuterebbe a tutelare l’ecosistema.

29 Giugno 2021 13:3130 Giugno 2021 13:49 Redazione
Attraverso reintroduzioni e allevamenti in cattività, è possibile salvare specie dal destino segnato: dal '93 a oggi ne sono state salvate 48

Nell’Australia occidentale sono stati ritrovati diversi esemplari di topo di Gould, una specie che si riteneva estinta più di 150 anni fa. Dal confronto tra otto roditori estinti e 42 loro parenti ancora in vita, gli scienziati hanno notato come il Dna del topo di Gould fosse identico a quello di Shark Bay, che si trova su piccole isole a largo della costa dell’Australia occidentale. «È bello vedere questa specie ancora in vita, ma la sua ricomparsa sulla terra ferma evidenzia come sia passata dall’essere distribuita a tutto il Paese a sopravvivere solamente su alcune piccole isole: si tratta di un vero e proprio crollo della popolazione», è quanto detto da Emily Roycroft, biologa evoluzionista dell’Australian National University. Una “resurrezione” spontanea, che si affianca ad altri rimedi pensati dall’uomo per evitare la scomparsa degli animali.

Out today in @PNASNews! Our paper on the rapid collapse of extinct Australian rodents since European colonisation + resurrection of extinct Gould’s mouse https://t.co/DsroEO41BU Big news for #ozrodents! @Dr_AnnaM @bertieportela @MVMammals @OMGenomes @BioPlatformsAus A thread /1

— Dr Emily Roycroft (@Emily_Roycroft) June 28, 2021

Tutta colpa degli Europei e dei gatti 

Il topo di Gould, il cui nome scientifico è Pseudomys gouldii, era una specie molto comune prima dell‘arrivo degli europei nell’entroterra australiano. Si pensava, infatti, fosse scomparso dopo il 1840, probabilmente in seguito  all’introduzione dei gatti. Per i pochi esemplari ancora in vita ci sono comunque buone notizie. Una ricerca del 2020, ha evidenziato come i procedimenti di “reintroduzione” delle specie siano tra i modi più efficaci per salvare gli animali in via di estinzione. Senza questi progetti, per fare due esempi, il cavallo di Przewalski – un esemplare che vive soprattutto in Asia centrale – e il rallo di Guam, un volatile diffuso nell’isola omonima, sarebbero sicuramente estinti. Ma non solo: grazie alle azioni di conservazione messe in atto tra il 1993 e il 2020, sono state salvate fino a 48 specie di uccelli e mammiferi dalla sicura scomparsa.

Ma come si evita l’estinzione?

Sono tante, quindi, le specie “estinte in natura” (cioè i cui esemplari sopravvivono solamente in cattività) che sono riuscite a “rinascere” grazie a questi programmi. Ma come funzionano? O attraverso la traslocazione – cioè il trasferimento di animali dal luogo in cui si trovano a un altro determinato, per aumentarne la possibilità di sopravvivenza o recupero – o attraverso l’allevamento in cattività finalizzato alla reintroduzione nell’habitat naturale. Così, è possibile sia ripristinare gli ecosistemi degradati, sia aumentare il numero della popolazione. Liberare una specie in natura però richiede equilibrio e uno studio approfondito. Le operazioni spesso necessitano di anni per essere efficaci e si articolano in più fasi. Innanzitutto va valutato il livello di minaccia, dell’animale e per l’animale. Poi va analizzato il ruolo che la specie ricopre nell’ecosistema scelto. Secondo Natasha Robinson, biologa dell’Australian National University, ad esempio, ci sono maggiori possibilità di successo nei luoghi in cui le specie si sono estinte più di recente: «Meno tempo è passato, più è probabile che l’ambiente sia lo stesso di quando si è verificata l’estinzione. Ma poi bisogna capire perché quella specie si è estinta in quel determinato ambiente».

Reintroduzioni a velocità diverse

Le reintroduzioni, come detto, possono avere un impatto positivo sul paesaggio, ma la velocità con cui queste avvengono dipende dal tipo di animale e dalla situazione circostante. Gli erbivori, ad esempio, possono apportare cambiamenti significativi nell’area in cui vengono inseriti. Robinson fa l’esempio dei bandicoot, marsupiali che vivono soprattutto in Oceania: la loro attività – passano le giornate a scavare tunnel – contribuisce a eliminare foglie secche, diminuendo il rischio di incendi boschivi, oltre ad aumentare il ricambio del suolo e migliorare la crescita di alcune piante.

Il discorso è invece diverso per i predatori, come la Lince eurasiatica (estinta in Europa nel 1800, grazie ad alcune reintroduzioni iniziate negli anni ’70 ora si trova tra Svizzera, Italia, Austria e Germania). Se da un lato possono essere utili nella gestione di alcune specie di parassiti, bisogna, infatti, stare attenti per evitare che non caccino troppo, o costituiscano una minaccia troppo grande per gli altri animali più vulnerabili.

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