C’erano una volta gli autunni caldi metaforici, quelli in cui la temperatura scendeva nei termometri e si alzava nelle piazze e davanti alle fabbriche. Dai e dai, la metafora è diventata realtà: l’autunno è caldo veramente, siamo quasi in novembre e si potrebbe girare ancora in maniche corte e sandali, e l’unico buon motivo per coprirci gambe e braccia è difenderci dalle zanzare, che trovano ancora il clima ideale e da un pezzo si sono assuefatte all’Autan. Se nel caldissimo autunno 2022 possiamo ancora permetterci di indignarci se i giovani ambientalisti di Last Generation e di Just Stop Oil (per lo più ragazze) protestano contro il climate change lanciando zuppa al pomodoro contro un Van Gogh, purè contro un Monet esalsa contro un Vermeer è perché a) il climate change ci sta consentendo di risparmiare sul riscaldamento domestico, i cui costi sono esplosi non si sa se più per la cattiveria di Putin, per la spilorceria degli olandesi o per l’avidità dei norvegesi e b) sarebbe un peccato buttar via un’occasione così ghiotta per prendercela con dei giovani, per di più ragazze, per di più ambientaliste.
#Kartoffelbrei auf #Monet:
Was ist mehr wert #FürAlle – Kunst oder Leben?Monet liebte die Natur und hielt ihre fragile Schönheit in seinen Werken fest.
Warum haben viele mehr Angst davor, dass eines dieser Abbilder Schaden nimmt, als vor der Zerstörung unserer Welt selbst? pic.twitter.com/0Rh1ZS6yjk
— Letzte Generation (@AufstandLastGen) October 23, 2022
La provocazione dell’Italia: lanciare Pichetto Fratin sulla poltrona del ministero dell’Ambiente
Del resto, se il gesto delle attiviste ha scandalizzato il mondo, solo l’Italia ha risposto con una provocazione artistica altrettanto forte in senso contrario, e cioè lanciando sulla poltrona del ministero dell’Ambiente e della Sostenibilità energetica (ex Transizione ecologica), un tizio di nome Gilberto Pichetto Fratin, che per sua stessa ammissione non ne sa mezza né di sostenibilità energetica né di transizione ecologica. Anzi, rema contro di esse da una vita, opponendosi alle auto elettriche e all’abbandono delle plastiche e, ciliegina sulla torta, è in odore di filoputinismo, oltre che di combustibili fossili. La sua unica benemerenza in campo ambientale sta nel suo secondo cognome, Fratin, che ricorda il nome di un piccolo trampoliere che nidifica fra le dune ed è protetto dalla Lipu. Un gesto di sfida meno colorato della zuppa su Van Gogh, ma altrettanto sfacciato e irridente, a pochi giorni dall’inizio di COP27, il vertice delle Nazioni Unite sul clima in programma a Sharm el-Sheik.

Nessuno si preoccupa degli imbrattamenti quotidiani e intensivi di aria, terra e acque
Ma non l’ha colto quasi nessuno. L’opinione pubblica era troppo impegnata a vituperare le giovani attiviste inglesi dai capelli viola che nella londinese National Gallery hanno lordato di vile minestra il vetro che protegge i Girasoli, provocando danni per qualche centesimo, il costo dei fogli di scottex con cui il vetro è stato ripulito. Eccole lì, le allieve della cattiva maestrina Greta: vandale esibizioniste e sacrileghe, talebane che distruggono l’arte in nome delle loro paranoie apocalittiche sul cambiamento climatico. Non basta più marinare la scuola il venerdì e strillare «la nostra casa è in fiamme», adesso bisogna prendersela con i capolavori patrimonio dell’umanità. Addirittura con Van Gogh! Van Gogh non si tocca. Van Gogh è innocente. Van Gogh è sacro. Van Gogh appartiene a tutti gli esseri umani, va custodito a ogni posto, dobbiamo proteggerlo e conservarlo per le prossime generazioni. E qui sta il problema: se nelle frasi citate sostituiamo la parola “Pianeta” a “Van Gogh” diventano verità lampanti e urgenti, ma verso gli imbrattamenti quotidiani e intensivi di aria, terra e acque non riusciamo a provare un decimo dell’emozione suscitata dal gesto isolato e sostanzialmente innocuo delle ragazze di Just Stop Oil.

Van Gogh oggi sarebbe dalla parte degli ambientalisti che sporcano i suoi quadri
E dire che non bisogna essere profondi conoscitori della personalità di Van Gogh, della sua sensibilità quasi religiosa verso la natura, la luce e il paesaggio, per capire che oggi sarebbe dalla parte delle attiviste ambientaliste che sporcano i suoi quadri, e non fra i benpensanti per cui l’Arte (dove per tale si intende quella che tutti conoscono, che vale tanti soldi, che è così celebre da non richiedere più nemmeno lo sforzo di leggere quel che c’è scritto nella targhetta sotto la cornice) è più sacra e intoccabile della natura che l’ha ispirata. Uno che si taglia un orecchio per rabbia (contro il fratello o contro Paul Gauguin, in fondo non importa), uno che mangiava vernice gialla perché credeva che quel colore desse la felicità, figurarsi se si scomporrebbe per un po’ di zuppa. Forse Van Gogh si incavolerebbe di più per essere diventato il pittore più quotato del mondo, un feticcio pop, un investimento, uno status symbol per quella stessa classe che da vivo non lo amava, non lo capiva, era sorda alla vibrazione di amore universale, di comprensione e di umanità che animava i suoi quadri. Forse l’avrebbero offeso di più certi gadget in vendita qualche mese fa nel bookshop di una sua mostra alla Courtauld Gallery, sempre a Londra: una gomma da cancellare a forma di orecchio, una saponetta con le scritte “per l’artista tormentato che ama le bolle soffici” e “preferito da nove geni dell’arte su dieci”. Sull’incarto c’era il ritratto di Van Gogh, circondato dai suoi amati girasoli. Speriamo almeno che il sapone fosse ecologico.