Con Armenia e Georgia, l’Azerbaijan completa il terzetto delle repubbliche ex-sovietiche del Caucaso. Dopo il crollo dell’Urss, nel 1991, è diventato uno Stato indipendente e formalmente, secondo la Costituzione, è, appunto, una repubblica presidenziale, dove il capo dello Stato coincide con il capo del governo. In realtà parlamento e sistema partitico sono funzionali al mantenimento del potere, così l’Azerbaijan è di fatto una sorta di monarchia ereditaria, su cui da trent’anni regna una sola famiglia, gli Aliyev.
Di padre in figlio, la dinastia degli Aliyev
Il primo presidente azero è stato Heydar Aliyev, ex segretario del partito comunista ai tempi dell’Unione sovietica e membro del Politburo. Postosi alla guida del partito del Nuovo Azerbaijan, da lui fondato nel 1992, è stato eletto per la prima volta appena un anno più tardi e confermato nel 1998. La formazione politica si autodefinisce di centro-destra e mirerebbe alla costruzione e al rafforzamento di uno Stato laico, fondato su un sistema economico che garantisca la libertà di iniziativa, integrata, per quanto possibile, a principi di giustizia sociale. La realtà, tuttavia, tratteggia uno scenario ben diverso e il forte sentimento nazionalista che permea il partito si abbina a un generale euroscetticismo.
Poco prima della morte, nell’agosto 2003, Heydar Aliyev ha nominato suo figlio Ilham primo ministro e lo ha indicato come successore. Le elezioni nell’ottobre dello stesso anno, criticate al pari di quelle precedenti dalle organizzazioni internazionali, e ritenute né libere né corrette, lo hanno confermato al vertice dello Stato.
Modifiche alla costituzione per mantenere il potere
Da allora Ilham è presidente, la costituzione è stata cambiata un paio di volte, allungando il mandato da cinque a sette anni e togliendo il divieto dei due soggiorni consecutivi al palazzo presidenziale. Dal 2017, poi, è stato introdotto anche il ruolo del vice-presidente, ricoperto da Mehriban, moglie di Ilham. La coppia ha due figlie, Leyla e Arzu, e un figlio Heydar Ilham, che ha il doppio nome del nonno e del padre. Oltre alla strada spianata per un futuro radioso nella politica azera. In questo contesto il ruolo riservato all’opposizione è praticamente nullo.
Sebbene, infatti, nel Paese non manchino situazioni di povertà e disagio sociale, la popolarità del presidente è cresciuta a dismisura dopo l’ennesima campagna militare nel Nagorno-Karabakh, giudicata un successo e celebrata con la parata della Vittoria, in cui Iham ha sfilato al fianco di Recep Tayyip Erdoğan. Non finisce qui, perché a Baku, lo scorso aprile è stato inaugurato il parco dei trofei di guerra. Una macabra esposizione, tra gli altri, dei caschi indossati dai soldati armeni caduti al fronte, davanti ai quali il presidente non ha perso occasione di farsi immortalare.

Nell’indice della democrazia Azerbaijan al 146esimo posto
Secondo l’Indice della democrazia pubblicato ogni anno dall’Economist, l’Azerbaijan nel 2020 è al 146esimo posto su 167 paesi, giusto davanti alla Bielorussia di Alexander Lukashenko (148esima), ma una ventina di piazze dietro al Russia di Vladimir Putin (124esima) ed è definito un «regime autoritario». Per Freedom House, che misura la libertà secondo vari indicatori, il regno degli Aliyev è considerato «non libero», con un punteggio di 10 su 100, peggiore pure della Bielorussia (11/100) e ovviamente della Russia (20/100). Nella classifica di Reporter senza frontiere, che prende in considerazione solo la libertà di stampa, l’Azerbaigian è al 167esimo posto, dietro a Bielorussia (158) e Russia (150). I dati, è bene precisarlo, sono del 2020 e non valutano gli eventi dell’ultimo anno a Minsk.
Il ruolo dell’Occidente nella guerra tra Azerbaijan e Armenia
Al di là pero della lotta a chi fa peggio tra i paesi dell’ex Urss, la vera domanda che ci si deve fare è perché l’Occidente usa due pesi e due misure nei confronti di Bielorussia e Azerbaijan. La questione è emersa ancor più vigore dall’autunno dello scorso anno con la guerra in Caucaso tra il Paese di Aliyev, supportato dalla Turchia dell’autocrate Erdogan, e l’Armenia. Da una parte sono piovute sanzioni diplomatiche ed economiche, dall’altra davanti a elezioni truccate, repressioni e conflitti armati si sono chiusi tutti e due gli occhi.
La risposta alla domanda va ricercata nelle alleanze energetiche che sin dagli anni Novanta gli Aliyev hanno stretto con Stati Uniti ed Europa, a partire del contratto del secolo del 1994 per lo sfruttamento dei giacimenti del Caspio. Baku è stata considerata da sempre un partner fondamentale, con buona pace delle questioni relative alla democrazia e alla tutela dei diritti fondamentali. Heydar e Ilham, inoltre, hanno fatto di tutto per far volersi bene, dalla cosiddetta “diplomazia del caviale”, ossia la politica lobbistica a livello internazionale, impegnandosi a far vedere solo la faccia dorata della medaglia. Numerosi sono, d’altronde, gli episodi di corruzione di politici e funzionari occidentali registrati nel corso degli anni.
Anche l’Italia ha i suoi interessi nel Caucaso, lo sanno bene i pugliesi sotto i cui piedi scorre il Tap. Il gasdotto, lungo 870 chilometri, parte dal mar Caspio e arriva a San Foca, nel Salento, trascinandosi dietro 20 milioni di metri cubi di metano al giorno. La soluzione italiana per abbattere i costi dell’importazione energetica ha creato in passato accesi scontri politici e di piazza, ma alla fine ha visto la luce, mentre il fronte delle proteste si è progressivamente sfaldato. Il mare, invece, non pare risentirne e di recente si è visto riconoscere la bandiera blu, sinonimo di acqua e spiagge pulite.
Gli investimenti dell’Azerbaijan nello sport
Alla strategia di integrazione nel sistema occidentale hanno contribuito sicuramente eventi e sponsorizzazioni, seguendo un modello ben conosciuto, dalla Russia all’Arabia saudita. E quindi, solo per citare gli esempi maggiori, Gran Premio di Formula 1, Champions League e ora gli Europei di calcio, con Baku tra le undici città in cui verrà disputata la manifestazione.
La Socar, la società del contratto del secolo, guidata da Ilham Alyev sino al 2003 e al cui vertice c’è ora Rovnag Abdullayev, che è anche il presidente della federazione calcio azerbaigiana, è stata sino a qualche settimana fa uno dei principali sponsor dell’Uefa. Poi i rapporti si sono interrotti, almeno momentaneamente, senza eco mediatica e senza una ragione ufficiale, ma pare che dietro la decisione svizzera ci siano state le polemiche in seguito alla propaganda corsa sui canali social della Socar durante la guerra con l’Armenia. In tv non si vedrà perciò la fiamma tricolore simbolo della compagnia statale petrolifera azerbaigiana, ma è un mezzo sgarbo che gli Aliyev possono incassare, visto che a Baku si giocherà comunque.
Land of fire, l’Azerbaijan sulla maglia
In passato, poi, diverse sono state le formazioni dei maggiori campionati europei ad indossare in bella vista la scritta su sfondo blu Azerbaijan, land of fire, campagna del locale ministero del Turismo. Sheffield Wednesday in Inghilterra, Lens in Francia e, soprattutto Atletico Madrid, nelle cui casse per un anno e mezzo di contratto vennero versati 12 milioni. Una partnership che ha evidentemente portato bene agli iberici, che nella stagione 2013/2014 si laurearono campioni nazionali, con l’Azerbaijan a far bella mostra sulle divise dei calciatori.

Il filo conduttore di queste sponsorizzazioni è stato Hafiz Mammadov, fondatore del Baghlan Group, proprietario del club francese e investitore nel Porto e nell’Atletico Madrid, almeno finché la situazione della Bank of Azerbaijan glielo ha permesso. Poi le parti si sono invertite e per salvarlo, nel 2016, i colchoneros acquistarono il 35 per cento del Lens. Un mutuo soccorso utile a smentire la teoria per cui gli amici scompaiono nel momento del bisogno.