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La battaglia di Algeri

Il 12 giugno i cittadini saranno chiamati alle urne: è la prima volta dall’approvazione della nuova Costituzione. Tra astensionismo e rischi di derive autoritarie, l’unica certezza è un malcontento dilagante.

11 Giugno 2021 13:5811 Giugno 2021 15:52 Daniele Curci

Il 12 giugno l’Algeria voterà per le elezioni legislative. È la prima volta dall’approvazione della nuova Costituzione, avvenuta nel novembre scorso. La situazione nel Paese è tesa e i rischi che il processo elettorale venga delegittimato o che subisca degli imprevisti sono molti. C’è da considerare, infatti, la grande insofferenza di molti cittadini nei confronti della classe dirigente, che potrebbe confluire in un notevole astensionismo, favorendo la prima vittoria elettorale dei partiti islamisti dalla fine della guerra civile nel 1999. Ma per capire cosa sta accadendo adesso è necessario un piccolo passo indietro.

Nel 2019 Bouteflika in lizza per il quinto mandato

Nel febbraio 2019, Abdelaziz Bouteflika, allora presidente dell’Algeria, si candida per un quinto mandato nonostante un ictus lo abbia reso invalido. È la goccia che fa traboccare il vaso. La popolazione algerina è stanca dell’immobilismo, della povertà, della disoccupazione e dell’assenza di libertà dovuta anche alla centralità di cui godono le forze armate. Nasce così Hirak, movimento di protesta laico e pacifico che porterà, nel dicembre dello stesso anno, a delle contestate elezioni vinte da Abdelmadjid Tebboune, ex  Primo ministro di Bouteflika e uomo vicino al comandante delle forze armate Ahmed Gaïd Salah.

Nonostante Tebboune abbia fatto proprie molte delle richieste provenienti dalla popolazione, il suo essere espressione del vecchio regime, unito al fatto che nessun candidato del movimento di protesta fosse presente alle elezioni, ha dato la percezione agli algerini di un cambiamento solo apparente. Il generale sentimento di sfiducia non si è assopito nel periodo successivo ed è confluito nella scarsa partecipazione, intorno al 23 per cento, al referendum costituzionale dello scorso novembre.

L’Algeria al tempo del Coronavirus

In uno scenario simile, il Covid19 ha silenziato momentaneamente le proteste, ma ha anche aggravato la profonda crisi economica, dovuta al crollo delle rendite da petrolio. Conseguenza diretta è stata l’impennata della disoccupazione, come dei prezzi dei generi alimentari. Come se non bastasse, Tebboune, colpito dal virus, è andato in Germania per farsi curare, dando implicitamente ragione al malcontento della gente per un servizio sanitario, da molti ritenuto insoddisfacente. L’opacità che ha avvolto le notizie relative alle condizioni di salute del Presidente, poi, ha dato adito a speculazioni sul suo reale stato di salute e sulla sua capacità di continuare a governare.

Gli algerini, così, sono tornati a protestare ad inizio anno, anche perché nonostante le promesse di Tebboune, la situazione nel Paese rimane critica. Per far fronte a questo rinnovato attivismo, a febbraio il Presidente ha deciso di anticipare le votazioni, previste in origine per il 2022, a giugno, annunciando anche la scarcerazione di una sessantina di attivisti. Evidentemente non abbastanza, per questo gli algerini continuano ad esprimere il loro dissenso, chiedendo cambiamenti più radicali.

Per gli esponenti di Hirak le elezioni sono una farsa

Tra loro, come detto, gli esponenti di Hirak che sostengono che queste elezioni sarebbero una farsa, strumento con cui l’esercito e la vecchia classe politica sperano di mantenere il controllo sul Paese. Chiedono l’epurazione dell’élite dirigente e il boicottaggio delle urne. E non sono gli unici. Alcuni partiti, come il Raduno liberale per la cultura e la democrazia, il Partito dei lavoratori di sinistra e il Partito socialista dei lavoratori hanno infatti annunciato che non prenderanno parte al processo elettorale.

Proteste in Algeria (Getty)

L’astensionismo sembra aiutare i partiti islamisti che, con molta probabilità, vinceranno le elezioni e assumeranno ruoli di primo piano nel governo. L’ultima volta in cui accadde, nel 1992, i militari annullarono il voto, innescando una guerra civile che si concluse sette anni più tardi, nel 1999. Da allora, i partiti islamisti hanno preso parte al processo elettorale, escludendo, però, nei loro programmi riforme radicali. Le attuali proposte si concentrano, infatti, sulle riforme economiche e sull’introduzione della finanza islamica, anche se diversi osservatori ritengono che se gli islamisti dovessero vincere potrebbero ridurre ulteriormente la libertà delle donne.

L’alleanza tra Hirak e i militari in pensione

Le figure di spicco di Hirak criticano i partiti islamisti per aver sostenuto in passato – e perché continuerebbero a farlo – un sistema illegittimo. Ciò potrebbe facilitare un alleanza tra Hirak e il movimento dei soldati in pensione. Critici nei confronti del governo per le basse pensioni assegnate ai militari, i soldati non vedono di buon occhio, come molti colleghi ancora in servizio, gli islamisti. Se questa alleanza dovesse concretizzarsi, ecco che potrebbero aprirsi scenari inediti, specie se l’esercito intervenisse di fronte al rischio per la tenuta del proprio potere.

Intanto, la Russia e l’Unione Europea guardano con attenzione al risultato del 12 giugno. Mosca è infatti il principale partner commerciale dell’Algeria. Per Bruxelles, invece, la stabilizzazione della regione è cruciale per contrastare l’immigrazione e per l’implementazione dell’accordo sul commercio, che sarebbe dovuto entrare in vigore nel settembre 2020, ma attualmente sospeso.

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