Mentre in tanti si affrettano a recitare il de profundis per il Partito democratico, c’è qualcuno che prova ad andare oltre e pensare già al rilancio. Come l’ex onorevole Alberto Pagani, tra i politici che più si muovono controcorrente e sperano in una nuova fase per il campo progressista. Ravennate, 51 anni, due volte deputato, Pagani è una delle figure politiche che grazie a una eventuale vittoria di Stefano Bonaccini al congresso dem potrebbe essere proiettata verso un ruolo di prima fascia nel partito.
Pagani, il pragmatico di Ravenna con due legislature alle spalle
Ex membro dei Democratici di sinistra (Ds) ravennati, consigliere comunale di Alfonsine, sua città natale, e di Lugo prima di diventare segretario provinciale nel 2010, Pagani è entrato in parlamento nel 2013 ed è stato riconfermato nel 2018. Ora per lui un compito importante: contribuire a sostenere l’ascesa di Bonaccini alla segreteria Pd partendo da una delle roccaforti perdute, quella Ravenna laboratorio dei rapporti tra amministrazione e territorio in cui, dopo lunghi battibecchi interni, i dem si sono schiantati alle ultime elezioni: il centrodestra lì ha vinto sia il collegio uninominale alla Camera sia quello al Senato.

Pagani, pragmatico e moderato, ha affidato al portale Ravenna Notizie alcune sue riflessioni dopo la sconfitta elettorale del 25 settembre 2022, ricordando la sua idea di cambiamento per i dem: «In questo momento il Pd sta attraversando un momento di crisi molto difficile, ma la storia ci insegna che tutte le grandi crisi nascondono sempre anche delle grandi opportunità. Tutti, a ogni livello, dai singoli ai gruppi, alle aziende e alle nazioni, si trovano prima o poi ad affrontare una crisi. Un’importante lezione che possiamo apprendere dal passato è che per resistere alle pressioni interne ed esterne è necessario affrontare in modo positivo un cambiamento selettivo». Niente rivoluzioni dal basso o castrazioni del partito dall’alto, insomma. Niente gattopardismi, ma un’idea chiara di politica: il Pd si è smarrito trasformandosi nell’ibrido tra una continuazione dello Stato e un comitato elettorale rimasto al potere quasi per inerzia. L’opposizione può e deve diventare il luogo di elaborazione di una nuova proposta politica, e deve essere abbracciata e non temuta.
Ripartire dai territori, dagli investimenti strategici ai territori
Non sono stati i toni populisti della campagna o presunti errori di comunicazione ad aver portato il Pd alla sconfitta: a contribuire è stato piuttosto il mix tra l’estremo correntismo e la perdita dei legami coi territori e la buona amministrazione. «Un partito continua a esistere se è utile, se assolve a un compito, a una funzione per il Paese»: il Pagani-pensiero riassume al meglio l’obiettivo della mozione di Bonaccini per la segreteria. Trasferire, cioè, le forze vive dei dem, quelle che hanno a che fare col Paese reale, dalla promozione di investimenti strategici alla costruzione dei rigassificatori, alla guida del partito. Parafrasando Mao Zedong, la campagna che assedia la città per antonomasia, quella Roma in cui il Pd appare così diverso dai circoli locali e dalle esperienze di amministrazione maggiormente apprezzate.
Pagani scende in campo per Bonaccini per riconquistare il Pd a partire dalle roccaforti perdute in campo nazionale, ma consolidate alle ultime elezioni regionali. E porta dalla sua anche un’attenta conoscenza dei circoli di buona parte d’Italia in cui, nell’ultimo anno, ha avuto modo di presentarsi. Per un motivo apparentemente avulso dalla candidatura di Bonaccini, ma che in caso di vittoria del presidente dell’Emilia-Romagna può avere risvolti notevoli: la sua conoscenza del mondo delle forze armate, dell’intelligence, della cyber sicurezza e, ovviamente, dello scenario ucraino.

Politica estera: una posizione euro-atlantiche ma realista
Ex capogruppo dem in Commissione Difesa, laboratorio di cooperazione bipartisan, Pagani è anche stato autore di un interessante Manuale di intelligence e servizi segreti, scritto per spiegare il mondo dell’intelligence ai non addetti ai lavori. Dal Friuli alla Toscana, Pagani è in movimento da tempo, forte anche del suo ruolo all’Assemblea parlamentare della Nato, come partecipante attivo al dibattito interno ai dem sul conflitto ucraino. Dall’inizio della guerra, Pagani ha una linea chiara: sostegno a Kyiv e critica netta alla Russia, ma al tempo stesso appoggio a un ruolo maggiore dell’Italia come potenza strategica. E un approccio cauto contro ogni isterismo: «Nella concitazione della lotta tra le propagande contrapposte osservo un fenomeno che trovo ridicolo e uno aberrante, e voglio evidenziarli», faceva notare ad aprile. E cioè, «ridicoli sono i politici che indossano l’elmetto senza sapere di cosa parlano e si trasformano in guerrieri da salotto, in particolare quelli che fino a ieri ammiravano Vladimir Putin, mentre i militari veri invitano alla prudenza e alla cautela nelle parole e nelle azioni. Aberrante è l’incapacità di distinguere tra la politica della Federazione Russa e la cultura della civiltà e del popolo russo».

Parole che spiegano bene la linea: fermo sostegno alle posizioni euro-atlantiche, ma nel pieno interesse di un orizzonte politico realista. E che mostrano come il contributo forse maggiore di Pagani alla causa di Bonaccini può essere quello in materia di politica estera e sicurezza, temi la cui conoscenza è necessaria per chi vuole guidare una grande formazione riformista. E su cui una sana concretezza può depotenziare i voli pindarici e retorici della sfidante Elly Schlein. La concretezza, innanzitutto: per costruire una nuova visione di sinistra, moderna e capace di affrontare i grandi temi del presente e anche per restituire fiducia al Pd. Partendo dai suoi stessi membri, i primi ad averla smarrita.