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Il soldato Marenghi per Confindustria e le mire di Bonomi sull’Enel

Mentre punta alla presidenza dell’Enel, Carlo Bonomi vorrebbe fare eleggere come suo successore Alberto Marenghi. Ma vista l’incapacità d’incidenza dell’attuale presidente e gli inutili endorsement del passato, l’imprenditore mantovano non ha grande appeal. E intanto l’associazione degli industriali si avvita sempre di più nella sua crisi.

10 Gennaio 2023 09:33 Giovanna Predoni
Il soldato Marenghi per Confindustria e le mire di Bonomi sull’Enel

Salvate il soldato Marenghi! Alberto Marenghi, mantovano, classe 1976, attualmente è vicepresidente di Confindustria per organizzazione, sviluppo e marketing in quota Lombardia e addetto a occuparsi, come una sorta di direttore generale aggiunto, delle questioni pratiche del sindacato degli imprenditori: dalla sede di viale dell’Astronomia e delle altre proprietà immobiliari dagli affitti in capo all’associazione degli imprenditori ad altre mansioni prima delegate ai dirigenti interni. Ma perché va salvato, visto oltretutto che Marenghi fa parte da anni dell’iconografia statica di Confindustria come antico esponente dei giovani imprenditori? Perché Carlo Bonomi, l’attuale presidente in carica ancora per poco più di un anno, vorrebbe farlo eleggere come suo successore, col risultato di avere al vertice un altro dei «professionisti di Confindustria» (così li chiamava con un certo spregio Gianni Agnelli). Marenghi infatti è l’unico tra i vicepresidenti che compare abitualmente nelle comunicazioni social dell’associazione, visto che gli altri sono stati silenziati per ordine diretto dell’irascibile numero uno.

LEGGI ANCHE: Carlo Bonomi, il monito del papa e quei dubbi su che lavoro faccia

Una leadership che avrebbe zero appeal. E occhio ai precedenti…

Marenghi va salvato per due motivi: il primo è quello di evitargli di infilarsi in una competizione dove la sua leadership, a sentire le buone lingue interne all’associazione, avrebbe pressoché zero appeal. Il secondo perché la storia insegna che nella Confindustria degli ultimi 20 anni (nei decenni precedenti era la Fiat che decideva tutto) nessun presidente, nemmeno i più carismatici Antonio D’Amato o Luca di Montezemolo, ha mai avuto reale influenza sulla scelta del successore. Infatti nel 2004 il presidente della Ferrari vinse senza problemi nonostante D’Amato appoggiasse apertamente il veneto Nicola Tognana. Nel 2008 Emma Marcegaglia si sarebbe imposta anche senza il sostegno dell’allora presidente della Ferrari. Forse, ma solo in parte, nel 2012 Giorgio Squinzi si giovò dell’appoggio della presidente uscente Marcegaglia nello scontro con Alberto Bombassei (anche se poi la gestione del capo di Mapei è stata forse in assoluto una delle peggiori, non solo a causa della sua malattia ma anche dei collaboratori sbagliati di cui ebbe a circondarsi, anche sul versante Sole 24 Ore). Last but not least, Vincenzo Boccia vinse nel 2016 battendo con nove voti di scarto Alberto Vacchi, sostenuto da D’Amato e Montezemolo per la prima volta alleati.

le manovre di Boccia e Abete sulla Luiss
Vincenzo Boccia (Getty Images).

Bonomi, solo sconfitte interne: dalla proroga del mandato alla sede

Il secondo motivo per il quale il soldato Marenghi va salvato risiede nella capacità di incidenza di Bonomi, che è ancora inferiore rispetto a quella dei suoi predecessori che non erano riusciti nell’impresa di nominare o condizionare il loro successore. Il milanese ha già subito diverse sconfitte interne, nonostante i primi due anni della sua gestione siano scivolati via durante il Covid con le riunioni da remoto dove nessuno sapeva in quanti erano collegati e nessuno eccepiva nulla alle comunicazioni dall’alto. La sconfitta più importante è arrivata dal secco no ricevuto all’idea di prorogare di due anni il suo mandato causa pandemia: lui l’aveva fatto con i presidenti delle territoriali in scadenza, e si aspettava giocoforza che tutti proponessero la stessa cosa anche per il presidente nazionale. Ma il sistema associativo gli rispose picche. Poco nulla è rimasto anche della sua stramba idea di spostare la sede di Confindustria vicino alla stazione Tiburtina con la scusa che gli imprenditori dal Nord arrivano in treno, cosa peraltro non vera per tanti che prediligono ancora l’aereo. È difficile poi che Confindustria possa accettare dopo Bonomi un altro lombardo alla presidenza nazionale, visto che Marenghi è stato anche presidente dell’associazione industriali di Mantova. Né mai il Veneto, per esempio, lo sosterrebbe, anche se ora lui vive a Verona.

Confindustria dal papa, un arresto eccellente e altre pillole del 12 settembre
Carlo Bonomi di Confindustria ricevuto dal papa. (Getty)

Una campagna elettorale per non disturbare il manovratore

Ma è all’esterno che Confindustria targata Bonomi ha dato il meglio di sé (o il peggio, secondo i detrattori), tra due capisaldi di pensiero e di azione. Fece per esempio sensazione nel maggio del 2020 un’intervista a la Repubblica in cui l’ex capo di Assolombarda diceva che «la politica era peggio del Covid» (che in quel momento aveva già fatto migliaia di morti), mentre nel pieno dell’ultima campagna elettorale ai primi di settembre evitava accuratamente di disturbare il manovratore organizzando l’assemblea nazionale di Confindustria in Vaticano alla presenza del papa quando, secondo i propri associati, avrebbe dovuto battere i pugni e invitare i leader politici a un confronto serrato sulle cose da fare, dall’energia al cuneo fiscale. Sono lontani ormai i tempi in cui le sorti dei due opposti schieramenti politici si decidevano nei convegni di Confindustria, come fu nel 2001 a Parma tra Silvio Berlusconi e Francesco Rutelli oppure a Vicenza tra Romano Prodi e lo stesso Cavaliere nel 2006.

Dopo il fallimento con la Lega Calcio, Bonomi ora punta alla presidenza dell’Enel

Ma perché Bonomi ha dribblato accuratamente le elezioni del 25 settembre 2022, cioè il momento clou del confronto democratico dove Confindustria avrebbe potuto influenzare l’opinione pubblica e chiedere impegni precisi ai futuri decisori? Sempre secondo le buone lingue di viale dell’Astronomia, è semplice: il presidente guarda al suo futuro e necessita di un incarico pubblico per cercare di mantenere almeno in parte immagine e tenore di vita che oggi la sua carica gli assicura. Dopo aver messo gli occhi sulla presidenza della Lega Calcio (respinto con perdite), oggi Bonomi punta alla presidenza dell’Enel – il cui consiglio di amministrazione, come quello delle più importanti aziende partecipate, scade a maggio – in ticket con un amministratore delegato gradito al nuovo corso politico. Ultimamente ha alzato appena un po’ i toni della polemica, ma pare preso tra due fuochi: se fa la voce grossa per ottenere nel 2023 i 16 miliardi per ridurre il cuneo fiscale (ipotesi di scuola visto le magre di bilancio), rischia di irritare il governo. Mentre non è detto che restandosene zitto possa davvero approdare all’Enel. Insomma, se sbagli completamente i toni all’inizio e poi li correggi per eccesso dopo, difficile poi essere considerato un interlocutore di cui fidarsi.

Bonomi al governo: «Salvare l'industria italiana. No a flat tax e prepensionamenti». Il presidente di Confindustria lancia l'appello
Carlo Bonomi, presidente di Confindustria (Getty)

Errori su errori: la conferma nel cda della Bocconi

Ma l’incertezza evidentemente lo spinge ad altri errori: qualche settimana fa si è fatto confermare nel cda della Bocconi, gesto almeno poco elegante visto che l’unica sua destinazione certa nel luglio dell’anno prossimo sarà la presidenza della Luiss, secondo la prassi interna di viale dell’Astronomia, e proprio quando l’Ateneo milanese ha appena aperto una sede a Roma per fare concorrenza nel Sud all’università di Confindustria. Senza dimenticare appunto la figuraccia della candidatura alla Lega calcio, gestita mentre era in vacanza alle Maldive, quando il suo nome fu gettato nella mischia e poi bruciato nello spazio di un mattino.

Cronica perdita di credibilità di Confindustria

Ma il punto principale per salvare il soldato Marenghi è che questa volta è in ballo il ruolo di Confindustria nel Paese: la lenta perdita di credibilità e di incidenza, problema che la affligge da molti anni, è continuata anche con la gestione di Bonomi. E senza un presidente che sappia parlare innanzitutto con i colleghi imprenditori, capirne le reali necessità e poi trovare i toni giusti per farle valere nel rapporto con la politica, difficilmente l’associazione può tornare, se non ai fasti del passato, almeno a una onesta e chiara rappresentanza degli interessi delle imprese.

Il soldato Marenghi per Confindustria e le mire di Bonomi sull’Enel
Maddalena Morgante e Alberto Marenghi.

La moglie Morgante, meloniana, esporrebbe molto Marenghi

E pensare che nonostante la crisi di rappresentanza Confindustria è ben radicata sul territorio, dove potrebbe ritrovare invece forza e ruolo nazionale, oppure rassegnarsi al declino degli altri corpi intermedi nell’era dei social. Se non si dà una mossa reale con la leadership di un imprenditore con annessi fabbrica e stabilimenti veri, dovrà registrare il calo degli associati e delle relative quote, che toglierà anche gli ultimi benefit ai senza azienda che dovessero ancora scalarla, mentre le imprese si gestiranno direttamente la propria attività di lobbying (come le più grandi fanno già da un po’ ai tavoli che contano di Roma e Bruxelles). Anche il soldato Marenghi, come imprenditore, avrebbe bisogno di un presidente di Confindustria all’altezza dei tempi. E se il sostegno parlamentare della moglie Maddalena Morgante, appena entrata alla Camera in quota Fratelli d’Italia, lo accredita presso il partito che comanda a Palazzo Chigi, per contro lo rende anche politicamente molto esposto, cosa che al popolo di Confindustria (vedi la diffidenza, per non dire il gelo, verso il Berlusconi imprenditore e politico) non piace per niente.

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