L’orizzonte stretto in una rete da pesca, da trascinare a fatica sulle spiagge di Dakar. Il confronto quotidiano con la disperazione racchiusa in una paga misera, insufficiente a sfamare la madre e i tre fratelli. La storia di Alassane Laye Diop, in Senegal prima, sul tappeto adesso, si è sempre tradotta nel verbo combattere. Cambiando gli scenari, il risultato è rimasto invariato. Appena ventenne, in Spagna, si è laureato campione nazionale di lotta libera, tre anni fa a bordo di un gommone, invece, fuggiva dalla miseria e scopriva l’Europa.
L’arrivo di Alassane Laye Diop in Spagna
Sei mesi per mettere da parte i soldi, così ha comprato il biglietto d’aereo destinazione Tangeri. La città marocchina fu la tappa intermedia verso il Vecchio continente. Ancora minorenne, lo hanno accompagnato in cinque, disperati come lui. Nove ore di traversata, poi, finalmente, i soccorsi. Lo hanno trasferito a Cadice, intanto ripeteva: «Non ho niente. Né soldi, né paura. La vita a Dakar era un inferno, volevo solo scappare e venire in Europa». Oggi, con la medaglia al collo, lo racconta a El Pais. Alla domanda su dove volesse andare, rispose senza pensarci troppo: «Barcellona, ero affascinato dalla loro squadra di calcio».
La lucha como herramienta de Integración.
ALASSANE LAYE DIOP campeón de España Absoluto.
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Anche facile da prevedere. La popolarità di Messi non ha confini e in mezzo a campi polverosi, dietro un pallone fatto di stracci, sono tantissimi i ragazzini con la maglia della Pulce. Di colpo, si è ritrovato su un autobus, spedito in Catalogna. Alla stazione Nord, c’era la Croce rossa, scorta per i centri di accoglienza di Montcada i Reixac e Viladecans. Giardinaggio, edilizia cura degli animali, quindi, il wrestling. Alassane ha fatto di tutto, in attesa della svolta, concretizzatasi nella faccia amica di Kildaré Pérez, educatore e lottatore. Ha notato il talento e gli ha spalancato le porte del Club de La Mina. È la palestra di un quartiere degradato, costruito negli Anni ’70 e diventato nel tempo ritrovo di sbandati, oasi per spacciatori.
In una palestra di periferia, il paradiso di Alassane
Tra le sue vie è stato girato Perros Callejeros, film pioniere del genere Quiqui, termine usato per definire storie di disagio e delinquenza giovanile. Giusto per capire, il protagonista della pellicola, El Torete, nella sua esistenza ha alternato le attività di attore e criminale. Uno spicchio buio di città, dove brilla il lavoro di associazioni e centri culturali, sociali e sportivi. Tra loro, la società diretta da Gervasio Deferr, medaglia d’oro ai Giochi olimpici del 2000 e del 2004.
Nel luogo in cui tanti perdono la bussola, Alassane ha trovato la felicità. «Il suo caso è un successo», dice il presidente della Federazione catalana di lotta. «Mi ci rivedo. Lo sport mi ha tolto dalle strade, su cui ho perso amici e conoscenti. Ero campione di wrestling nella categoria cadetti, così mi sono salvato. Lo sport si conferma uno degli strumenti più efficaci per l’integrazione». Il sorriso contagioso, oggi, sbatte sulla burocrazia: «Non ho un permesso di lavoro e senza un contratto potrei essere costretto ad andare via», spiega amaro Alassane. La lotta, non solo sul tappeto, è ancora lunga.