«Sono le scarpe? Saranno le scarpe!». Recitava così uno degli slogan di una celebre serie di spot girati nel 1988 da Spike Lee, commissionati dalla Nike, per lanciare le Air Jordan III. Operazione tuttora considerata all’unanimità come una delle campagne di marketing di maggior successo della storia.

La leggenda delle Nike Air di Jordan in un film e un documentario
Pare scontato oggi associare il nome di Jordan a quello della Nike, ma la creazione del marchio che poi sarebbe diventato leggenda ha una lunga storia alle sue spalle. Un film e un documentario appena usciti la raccontano, descrivendo per filo e per segno, fin dalle origini, come sia nata la rivoluzionaria partnership che ha cambiato per sempre il mondo delle sneakers. Il film, ora nelle sale, si intitola AIR – La storia del grande salto, ed è girato e interpretato da Ben Affleck insieme a Matt Damon.

Il documentario, One Man and His Shoes. Le scarpe della leggenda, reperibile su Prime Video, è del regista inglese Yemi Bamiro. Entrambi i lavori sono ambientati all’inizio degli Anni 80, precisamente nel 1984, quando una giovane promettente matricola di una piccola città del North Carolina si apprestava a entrare nella scena del basket professionistico statunitense.
Così la Nike entrò nell’olimpo del basket
All’epoca la Nike non appariva affatto cool agli occhi del mondo, considerata da tutti semplicemente una marca di scarpe sportive per lo più specializzata per le calzature da jogging e surclassata dalle aziende concorrenti come Converse e soprattutto Adidas che spadroneggiavano nel mondo del basket e ai piedi dei teenager di tutto il globo. Erano i tempi in cui i Run DMC cantavano My Adidas ai loro concerti facendo impazzire i ragazzini e Converse sponsorizzava le maggiori stelle del basket come Larry Bird e Magic Jonhson. L’intuizione di investire tutto il budget dell’allora sfigatissima sezione Nike dedicata al basket su Michael Jordan fu di un manager visionario di nome Sonny Vaccaro, una sorta di stregone della pallacanestro, che per primo aveva visto nell’esordiente rookie quello che successivamente sarà chiaro agli occhi del resto del mondo. La leggenda narra però che Jordan avesse già scelto di firmare con Adidas e non volesse nemmeno sentire la proposta di Nike. Solo il lungimirante intervento della madre Deloris riuscì a convincerlo: «Devi dar loro un’opportunità. Andrai ad ascoltarli. Potrebbe non piacerti, ma andrai ad ascoltarli».
Le resistenze della NBA che fecero la fortuna del marchio
Jordan firmò con Nike nell’ottobre del 1984 e l’Air Jordan, creata esclusivamente per lui, fu bandita dall’NBA per causa della sua colorazione nera e rossa che non rispettava le regole secondo le quali almeno il 51 per cento delle scarpe degli atleti doveva essere bianco. Venne prevista addirittura una multa di 5 mila dollari per chi si fosse presentato in campo con quel modello. Nike si offrì di pagare le multe anche perché la notizia si trasformò in un’enorme pubblicità che l’azienda di Phil Knight sfruttò lanciando una fragorosa campagna di marketing che fece aumentare esponenzialmente le vendite: «Il 15 settembre Nike creò una nuova e rivoluzionaria scarpa da basket. Il 18 ottobre la NBA la bandì dalla lega. Fortunatamente l’NBA non può impedirti di indossarle».
Lo storico spot di Spike Lee: «It’s Gotta Be The Shoes»
L’idea geniale fu del designer Peter Moore che disegnò anche il logo delle Air Jordan, il pallone con le ali e sopra il nome delle calzature leggermente ricurvo, e successivamente l’iconico Jumpman che entrò nella comunicazione del brand nel 1988. Il 1988 fu anche l’anno in cui venne ingaggiato Spike Lee aka Mars Blackmon, il personaggio ossessionato dalle Jordan apparso per la prima volta She’s Gotta Have It del 1986, per girare la serie di spot di cui sopra. Oltre ad aver rivoluzionato la moda il connubio Nike/Michael Jordan ha cambiato per sempre i termini dei contratti tra gli atleti e le aziende: per la prima volta a un testimonial venivano concesse direttamente le royalties sulle vendite di ogni singolo prodotto della line a lui dedicata. Da quando il campione di basket ha firmato il suo primo accordo nel 1984, il colosso dell’abbigliamento sportivo (secondo i calcoli di Forbes nel 2020) gli ha versato la cifra di circa 1,3 miliardi di dollari.