Niente aratura del terreno, né eliminazione delle erbacce. Nel sud est della Spagna, provincia di Jaén, si sta diffondendo sempre più l’utilizzo di tecniche per una agricoltura di tipo rigenerativo, che sovvertono alcuni dei dogmi tradizionali nella cura di orti, campagne e tenute. Non è un caso che dopo il Regno Unito, l’esempio si stato accolto in questo spicchio d’Europa. Jaén è, infatti, considerata la patria del mare degli ulivi. Con questa espressione si fa riferimento a un’area in cui si contano 70 milioni di alberi, che si estendono in ogni direzione e si perdono nell’orizzonte. Alla salvaguardia degli arbusti, tuttavia, nel tempo è corrisposta la riduzione degli avvistamenti di api, farfalle e uccelli. Ciò sarebbe dovuto alla progressiva estirpazione di piante ed erbacce ritenute nocive per la crescita degli ulivi.
Agricoltura rigenerativa, la riscoperta dei metodi tradizionali
«Quello che stiamo facendo è tornare a metodi tradizionali», ha affermato al Guardian Paco Montabes, che coltiva 650 ettari di olive picual nella Sierra Mágina di Jaén. «Non arare tra gli alberi migliora la ritenzione idrica e riduce l’erosione dopo forti piogge. Il rivestimento vegetale rende il terreno più spugnoso, in grado di assorbire meglio l’acqua piovana». Montabes ha fatto tesoro dei dati pubblicati dai ricercatori dell’Università di Jaén e dal Consiglio superiore per la ricerca scientifica (CSIC). A seguito di uno studio di tre anni, si è scoperto che i pesticidi usati per contrastare le mosche dell’ulivo, principale parassita delle piante, hanno danneggiato la salute dell’intero ecosistema. La soluzione è stata, dunque, trovata nella nuova agricoltura, i cui vantaggi sono evidenti. Grazie a un progetto chiamato Olivares Vivos (Uliveti vivi), le api sono aumentate del 42 per cento e l’avifauna del 10 per cento, senza contare gli arbusti legnosi, che hanno subito un’impennata del 172 per cento.
Dal terreno prodotti che rispettano l’ambiente
A beneficiarne, sono anche gli agricoltori, che mettono in commercio un prodotto certificato come ecologico in grado di favorire la biodiversità e rispettare l’ambiente. Se per quanto riguarda l’olio il mercato è ancora ai primi stadi, con 600 coltivatori che solo ora si stanno interessando al progetto rigenerativo, non può dirsi lo stesso per il vino. Ma nella regione vinicola del Penedès, 750 chilometri a nord di Jaén, Torres, il più grande produttore vinicolo della Spagna, sta già abbracciando l’approccio rigenerativo con l’intento di ridurre anche la propria impronta di carbonio nell’atmosfera. «Il nostro obiettivo è smettere di arare», ha detto Miguel Torres, capo dell’azienda che ha già ridotto le emissioni del 34 per cento a bottiglia e si è posto l’obiettivo di arrivare al 60 nei prossimi anni. «L’aratura porta il materiale organico in superficie, dove è più soggetto all’ossidazione e dunque al rilascio di CO₂. Se tutti i vigneti del mondo adottassero questo metodo, l’impatto sarebbe enorme».
Non molto lontano da lì, alla cantina Parés Baltà, l’enologa Marta Casas ha deciso di spingersi ancora oltre. Nel suo podere è presente un forno a cielo aperto del VI secolo a.C., che l’ha ispirata a imbottigliare il vino in vasi di terracotta. Per la coltivazione, invece, ha deciso di utilizzare gli equiseti, piante tra le più antiche della terra, appartenenti al Paleozoico che, secondo lei, sono in grado di ridurre il solfato di rame spruzzato nel terreno, allo scopo di curare la muffa delle viti. «Più dai alla terra, più otterrai in cambio», ha detto al Guardian.