Contro il campo moderno
Nel Regno Unito è sempre più diffuso il ricorso all'agricoltura rigenerativa. Le tecniche usate dalle vecchie generazioni sono più sostenibili e garantiscono prodotti migliori, ma impongono grossi costi.
Un progressivo ritorno al passato. È quanto sta avvenendo negli allevamenti e nei campi inglesi, dove sempre più di frequente si registra l’utilizzo di strumenti e tecniche appartenenti alle generazioni precedenti. Tali metodi infatti consentirebbero di migliorare la qualità della carne prodotta, salvaguardare la terra e contrastare gli effetti del cambiamento climatico.
L’agricoltura rigenerativa, un ritorno al passato
Tra coloro che si fanno portavoce dei benefici legati a un simile sistema, conosciuto come agricoltura rigenerativa, Peter Grieg. La sua Pipers Farm sorge tra le colline del Devonshire, dove tutto l’anno le mucche pascolano tra i campi di girasoli e trifogli. Da quasi trent’anni, Grieg e sua moglie portano avanti un progetto di agricoltura rigenerativa, ricorrendo a un approccio simile a quello usato dai contadini nell’anteguerra: dopo aver bandito del tutto fertilizzanti e prodotti nocivi, si sono dedicati a sviluppare al massimo le proprietà del terreno, rinforzandolo con concime bio e riducendo gli interventi meccanici. La terra viene lavorata bene produce erba di qualità, che diventerà cibo per le mucche. Queste automaticamente, forniranno agli uomini bistecche di prima scelta, ricche di nutrienti. Un equilibrio che, secondo Grieg, le tecniche moderne «metterebbero seriamente a repentaglio», ha affermato alla Bbc. Incoraggiato da risultati importanti, l’imprenditore ha coinvolto nel suo business altre 40 famiglie di contadini. Inizialmente dubbiose, hanno poi abbandonato i metodi intensivi e oggi vendono i loro prodotti sotto il marchio Pipers Farm.
Le difficoltà di un approccio sostenibile
Grieg, inoltre, da qualche tempo è impegnato in una vera e propria attività di scouting tra le giovani leve, con lo scopo di formarle secondo i principi della sostenibilità e del rispetto dell’ambiente. La scelta di affidarsi quasi esclusivamente alla natura, però porta a fare i conti anche con situazioni complicate. Nel caso di alcune produzioni, come quella delle patate o delle barbabietole da zucchero, i macchinari velocizzano le tempistiche dell’aratura. In più, rivoluzionare il proprio metodo costringe i contadini ad affrontare grosse spese, non bilanciate, almeno nell’immediato, da guadagni all’altezza.
Il difficile equilibrio fra sostenibilità e profitto
Secondo Richard Bramley, direttore dell’NFU Environment Forum, non è corretto fare una distinzione così netta tra agricoltura tradizionale e industriale, demonizzandone una per esaltare l’altra. «Come coltivatore, so che il mio compito è produrre il cibo necessario, coi ritmi richiesti dal mercato, non solo rispettando l’ambiente ma anche provando a non danneggiare la terra e la biodiversità». Per farlo, Bramley reclama l’urgenza di uno sforzo collettivo, che sappia individuare una soluzione in grado di mediare tra la velocità delle richieste del sistema alimentare e la necessità di un approccio sostenibile. Il governo inglese sembra aver fatto i primi passi in questa direzione, offrendo un sussidio di 70 sterline per ettaro agli agricoltori che dimostrano un impegno concreto nel garantire e preservare il benessere dei loro campi. E sono arrivate anche le prime conversioni delle aziende verso un’agricoltura più sostenibile. Ad aprire le danze è stata la McCain: il colosso delle patate ha dichiarato di voler estendere questa filosofia all’intera azienda entro il 2050.