Tutte le società internazionali che continuano a operare sul mercato russo nonostante l’invasione in Ucraina sostengono, seppur involontariamente, l’economia di Mosca. È la denuncia di Leave Russia progetto della Kyiv School of Economics, che ricorda come quasi 1200 marchi stranieri siano ancora attivi nella Federazione. Un numero quasi pari alle società che invece hanno deciso di sospendere o cancellare del tutto le proprie attività. Fra i brand sotto accusa, come riporta il Guardian, c’è Agent Provocateur, maison di lingerie britannica finita più volte al centro delle polemiche. Sarebbe attiva con più di 10 negozi su territorio russo, sebbene sostenga di non operarvi direttamente. L’attività infatti è gestita indirettamente tramite un contratto di franchising e dispone di boutique gestite localmente. Mentre sarebbero ben 62 le attività italiane che, sempre secondo Leave Russia, non hanno ancora abbandonato la Russia.
From February 24, 143 companies completed withdrawal from 🇷🇺, 1150 companies have curtailed 🇷🇺 operations, 499 have reduced current operations and held off new investments in 🇷🇺, and 1191 companies continue to work in 🇷🇺
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— KSE Institute (@KSE_Institute) December 12, 2022
Il caso di Agent Provocateur è solo la punta dell’iceberg
Dopo l’invasione russa in Ucraina, diverse aziende hanno preso le distanze da Mosca, annunciando un ritiro parziale o totale dal mercato nazionale. Un team di ricercatori della Kyiv School of Economics ha valutato, a distanza di quasi 10 mesi dall’inizio del conflitto, quante aziende sono rimaste attive. I dati parlano di quasi 1200 società ancora operative, i cui «beni, servizi e tasse sostengono l’economia della Russia e consentono al suo governo di continuare la guerra di conquista in Ucraina». Insomma, seppur in maniera indiretta e involontaria, chi non ha lasciato il mercato russo, secondo i ricercatori, sostiene Vladimir Putin. Fra le tante anche Agent Provocateur, attiva a Mosca con 13 negozi per la vendita al dettaglio. Lo conferma il sito ufficiale della casa britannica in lingua russa.

«I negozi sono gestiti in base ad accordi del precedente proprietario del business, molti anni fa», ha spiegato al Guardian un portavoce di Agent Provocateur. «L’azienda stessa non opera in Russia». Dopo aver ricordato che si tratta di pochissimi punti vendita (secondo Leave Russia sono 13), non ha approfondito la questione per via di accordi confidenziali. Inoltre, ha sostenuto come non sia possibile abbandonare vincoli contrattuali di punto in bianco. La società ha poi accusato il Guardian di diffondere «false supposizioni», riservandosi il diritto di procedere per vie legali. Agent Provocateur è però solo la punta dell’iceberg di un fenomeno molto più diffuso.
Tutte le controversie dell’azienda di moda, dalle pubblicità alle vetrine
Fondato nel 1994 da Joseph Corré, figlio di Dame Vivienne Westwood, e da Serena Rees, Agent Provocateur ha dovuto spesso fare slalom fra le polemiche. Nel 2001 realizzò un video pubblicitario con la cantante Kylie Minogue in sella a un cavallo di velluto con indosso la lingerie dell’azienda. Lo spot, come altri in seguito, venne però bannato dalla televisione britannica poiché considerato degradante per le donne. Non è andata meglio nel 2019, quando un’ulteriore controversia riguardò le vetrine della maison. Come riportò la Bbc, si parlò di pubblicità pornografiche e sessiste, mentre alcuni parlamentari definirono gli «spot scioccanti».
