«Nel girare pagina su una politica estera che ci ha guidato per due decenni, dobbiamo imparare dai nostri errori». Con queste parole, lo scorso 31 agosto il presidente Joe Biden dalla Casa Bianca ha scritto la definitiva parola fine alla guerra americana in Afghanistan: il conflitto più lunga della storia statunitense (se vogliamo dimenticare quello contro i nativi americani). Una guerra costata la vita a quasi 6.300 americani (militari e contractor), 66 mila militari afgani, più di 50 mila civili, circa 50 mila tra talebani e combattenti avversari, 1.144 militari Nato, 444 lavoratori di Ong e organizzazioni assistenziali e 72 giornalisti. La guerra contro il terrorismo iniziata nel 2001 ha avuto anche un colossale impatto economico: 2 mila miliardi di dollari. Quando tutti i conti saranno saldati e i vari interessi maturati, ha stimato l’Associated Press, la bolletta sarà salita nel 2040 a 6.500 miliardi. Nelle parole dello stesso Presidente Biden la strategia di questi 20 anni è stata un clamoroso abbaglio. E dire che per rendersene conto bastava ripassare la storia delle missioni estere statunitensi degli ultimi decenni, la maggior parte delle quali hanno causato guerre e dato vita a regimi dittatoriali.

I disastri causati in Iran, Guatemala e Repubblica democratica del Congo
Se oggi l’Iran è uno dei nemici giurati dell’America, bisogna ricordare che il peccato originale fu il colpo di Stato orchestrato da Stati Uniti e Regno Unito nel 1953 contro il governo guidato dal laico Mohammad Mosaddeq. Un golpe che restituì il potere assoluto allo Shah Reza Pahlavi creando le premesse per un malcontento che trascinò il Paese nel radicalismo e verso la rivoluzione di Khomeini del 1979. Nel 1954 gli Usa ci riprovarono in Guatemala organizzando un golpe contro il leader democratico Jacobo Arbenz, il Paese entrò in una cruenta guerra civile destinata a durare quasi 40 anni che portò anche a quello che viene definito l’holocausto silencioso, il massacro di migliaia di cittadini di origine maya. Dal Centro America all’Africa dove, negli Anni 60 nella Repubblica Democratica del Congo la Cia si oppose al primo ministro anti-colonialista Patrice Lumumba. «Il suo allentamento dal potere deve essere una priorità», scrisse il direttore dell’intelligence americana Allen Dulles. Lumumba venne assassinato nel gennaio 1961, il Paese non ha mai conosciuto da allora una vera pace.

Il fiasco cubano e il bloqueo
In Indonesia nell’ottobre del 1965 il leader militare Suharto accusò il Partito comunista indonesiano di aver organizzato un tentativo di colpo di Stato, diede inizio all’eliminazione sistematica di un milione di indonesiani che appoggiavano i comunisti. Diventò il dittatore del Paese con l’appoggio degli Stati Uniti e mantenne il potere fino al 1998. Una serie di documenti ufficiali declassificati ha dimostrato come le autorità americane fossero al corrente della purga del generale e che molte delle vittime erano innocenti. Alcuni funzionari d’ambasciata ricevevano aggiornamenti su massacri e in alcuni casi si resero disponibili a insabbiare ogni notizia a riguardo. Nel 1961 la Cia tentò di spodestare il regime comunista a Cuba, il famigerato fiasco della Baia dei Porci fu seguito da una serie di azioni clandestine, violente e fallimentari, passate alla storia con il nome di “Operazione Mangusta” contro il regime di Fidel Castro, morto nel suo letto nel 2016. Tra l’altro ancora oggi l’Isola è sottoposta al bloqueo, l’embargo imposto da Washington e mai cancellato.

Le ricadute della guerra del Vietnam sulla Cambogia
La guerra del Vietnam fu in questi anni la pagina più tragica, un disastro politico e militare, iniziato come appoggio strategico per contrastare l’avanzata del comunismo, diventato dagli Anni 60 guerra totale e conclusasi in un fallimento nei primi Anni 70 dopo più di 58 mila morti militari americane e un numero incalcolabile di militari e civili vietnamiti uccisi (qualcuno azzarda anche la cifra di 3 milioni). La ricaduta della tragedia vietnamita fu il crollo della Cambogia su cui il presidente Nixon e il Segretario di Stato Kissinger avevano disposto bombardamenti indiscriminati per fermare le linee di rifornimento dei Vietcong. Sul Paese, contro cui gli Stati Uniti non erano ufficialmente in guerra, vennero riversate più bombe che sul Giappone durante la Seconda guerra mondiale. Le azioni militari portarono al caos e all’arrivo dei Khmer Rossi che il 17 aprile del 1975 arrivarono a Phnom Penh così come i talebani sono entrati a Kabul il 15 agosto: ne seguì un’utopia comunista folle e crudele, un genocidio di quasi due milioni di persone e una guerra civile finita solo negli Anni 90.

Il sostegno ai Contras in Nicaragua
Negli Anni 80 in Nicaragua il presidente Ronald Reagan decise di appoggiare la ribellione armata dei Contras, che si opponevano al governo socialista dei Sandinisti. L’operazione fu fallimentare, non solo sostenne un gruppo che stava creando le prime reti del narcotraffico che iniziava a inondare di cocaina gli Stati Uniti, i fondi dati ai controrivoluzionari provenivano da una vendita illecita di armi all’Iran gestita dal generale dei Marines Oliver North, membro del Consiglio per la Sicurezza Nazionale. L’attuale presidente del Paese è Daniel Ortega, ai tempi leader dei Sandinisti. Negli stessi anni gli americani appoggiavano a Panama il dittatore Manuel Noriega, che poi venne spodestato con un intervento militare nel 1989 quando il piccolo Stato centroamericano era diventato un hub per il commercio di stupefacenti. Tragica e infruttuosa anche la missione di peacekeeping in Libano dove i marine furono oggetto nell’ottobre del 1983 di uno dei primi attentati suicidi ad alto impatto: 241 soldati, un quarto del contingente arrivato qualche mese prima, morì in un’esplosione che distrusse l’ambasciata americana. Gli Usa abbandonarono la missione nel febbraio 1984, lasciando il Libano sotto l’influenza della Siria di Hafez al-Assad, padre dell’attuale dittatore siriano.

Afghanistan e Iraq, la palude Usa
Nel 1991 il presidente democraticamente eletto di Haiti Jean-Bertrand Aristide venne deposto da un golpe organizzato da militari addestrati da agenti americani che per anni avevano tramato contro il leader politico. Seguì una dittatura militare e Aristide tornò al potere per altri tre mandati, ma, come attesta la cronaca di questi mesi, l’instabilità di Haiti non si è mai risolta. C’è poi il capitolo dell’Afghanistan e dell’Iraq. In Afghanistan, gli Usa prima appoggiarono la resistenza dei mujaheddin quando negli Anni 80 combattevano contro l’invasione dell’Unione sovietica. Dopo il ritiro dei sovietici, la Cia valutò che il nuovo governo di Najibullah sarebbe stato troppo debole per sopravvivere e avrebbe dato vita a un regime islamico forse fortemente fondamentalista, ma non estremista come l’Iran. Dal caos afghano emersero i talebani, la cui origine ideologica e religiosa era il Pakistan, uno Stato che dal 1947 al 2017 ha ricevuto 70 miliardi di dollari in aiuti (con finalità civili, ma soprattutto militari) dagli Stai Uniti. In Iraq la guerra iniziata nel marzo 2003 venne dichiarata praticamente conclusa dal presidente George W. Bush due mesi dopo, quando proclamò sulla portaerei Abraham Lincoln che la missione era compiuta. In realtà, liquidato Saddam Hussein e sciolto l’esercito, iniziò un conflitto civile che diventò il terreno di coltura di Daesh. Gli americani hanno abbandonato il Paese solo nel 2011, in un quadro sempre più complicato dalla guerra civile in Siria e dall’estendersi del sedicente Stato Islamico.Un copione che rischia di ripetersi anche a Kabul.