La regola del tagiko

Stefano Grazioli
10/09/2021

Il Paese che condivide con l'Afghanistan 1.300 km di confine si conferma, come ai tempi di Massoud, il serbatoio della resistenza anti-talebana nel Panshir. Tra esodo di profughi, pericolo di infiltrazioni terroristiche e legami con Mosca, la storia del più povero degli Stan dell'ex Urss.

La regola del tagiko

Sono i tagiki, adesso come negli Anni 80 e 90 ai tempi del generale Massoud – il leone del Panshir – il cuore della resistenza afghana nel Nord del Paese. Anche se i talebani hanno annunciato di avere sotto controllo i territori contesi e formato il nuovo governo, lo spettro della guerra civile è sempre dietro l’angolo e la vera pace lontana.

I tagiki della valle del Panshir

La valle del Panshir è popolata dall’etnia tagika, le milizie che non si danno per vinte sono guidate dal figlio dell’eroe che combatté prima i sovietici poi i talebani. L’arte della guerriglia i combattenti di oggi ce l’hanno nel sangue e non sarà un proclama talebano a fermare la lotta. Non solo, dal Tagikistan, che condivide con l’Afghanistan oltre 1.300 km di frontiera, sarebbero arrivati quasi 2 mila volontari che già nelle scorse settimane avevano annunciato di voler sostenere la guerra contro i nuovi padroni a Kabul. Anche se è difficile trovare conferma sul campo, quel che è certo è che il legame fra i tagiki dei due Paesi è un cordone ombelicale difficile da tagliare.

il tagikistan e la resistenza ai talebani nel Panshir
Un poster di Ahmad Shah Massoud a Kabul (Getty Images).

Il Tagikistan si conferma il serbatoio della resistenza anti-talebana

L’ha fatto capire anche il presidente del Tagikistan, Emomali Rahmon, che la scorsa settimana ha insignito del massimo ordine tagiko, a 20 anni dalla morte, Massoud padre, capo militare di quella che allora si chiamava Alleanza del Nord. Amad Shah Massoud era stato vittima di un attentato di al Qaeda tra le montagne afghane alla vigilia dell’attacco alle Torri Gemelle. Insieme a lui Rahmon ha reso onore a un altro tagiko illustre, l’ex presidente afghano Burhanuddin Rabbani, assassinato 10 anni fa da un kamikaze. Al di là degli anniversari, si tratta di segnali chiari verso Kabul: il piccolo e povero Tagikistan non può certo competere nel Grande gioco delle potenze in Asia centrale, schiacciato tra Russia e Cina, ma rimane un serbatoio per la resistenza antitalebana nel nord dell’Afghanistan. Rahmon è il capo di Stato di quello che, con il vicino Kirghizistan, è il più povero degli Stan ex sovietici. La repubblica nata con la dissoluzione dell’Urss esattamente 30 anni fa è retta dal 1992 dallo stesso presidente, eletto nel corso della guerra civile scoppiata dopo il distacco da Mosca e durata fino al 1997. Rahmon, supportato dalla Russia e dall’Uzbekistan, è uscito vincitore da uno dei più terribili conflitti della storia postsovietica, che che ha causato ufficialmente oltre 60 mila vittime, in realtà almeno il doppio. Una guerra complicata, tra regioni, etnie e clan, nel contesto dell’estremismo islamico anche talebano, con la parallela guerra civile in Afghanistan scoppiata dopo il ritiro sovietico e l’arrivo degli studenti coranici nel 1996 a Kabul. L’alleanza del Nord che in Afghanistan da allora resisteva ai talebani aveva Massoud come capo militare e Rabbani come guida spirituale. Gli eroi di allora sono quelli che Rahmon ricicla anche per la nazione tagika.

Il ruolo del tagikistan nella resistenza anti talebana
Vladimir Putin (e il presidente tagiko Emomali Rakhmon (Getty Images).

L’instabilità afghana collante del rapporto tra Dushanbe e Mosca

E allora come oggi c’è ancora la protezione di Mosca. Il Tagikistan è sempre rimasto nell’orbita della Russia da cui dipende la sua sopravvivenza economica. Il Cremlino, da parte sua, ha tutto l’interesse a mantenere i rapporti con l’ex per interessi geopolitici: da sempre Mosca ha infatti una base militare a Dushanbe. Con altre repubbliche centroasiatiche il Tagikistan fa parte dell’organizzazione di Shanghai (Sco) e della Csto, l’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva guidata da Mosca. Da settimane sul confine tagiko-kazazo sono in corso manovre militari: l’interesse tagiko è in primo luogo quello di non sprofondare nella catastrofe umanitaria che si prospetta in Afghanistan con ondate di profughi in arrivo e di contenere le infiltrazioni terroristiche che possono destabilizzare il Paese come accaduto in passato. In questo Rahmon ha un buon alleato in Vladimir Putin. I due si conoscono da 20 anni e il primo sa benissimo che a contare per il secondo sono la fedeltà e la stabilità. A differenza del vicino Kirghizistan, scosso da un paio di rivoluzioni negli ultimi tre lustri, il Tagikistan è rimasto nelle mani salde del presidente che è stato eletto per la quinta volta nel 2020 e porta il titolo di Guida della nazione. L’instabilità afghana cementerà quindi ancora l’asse tra Mosca e Dushanbe.