Dell’esercito afghano scioltosi come neve al sole di fronte all’avanzata talebana, si è discusso molto. E non si smette di farlo. Sull’argomento è tornato a parlare l’ex ministro delle finanze di Kabul Khalid Payenda, scoperchiando un vero e proprio vaso di Pandora: «Si tratta di autentici soldati fantasma», ha spiegato alla Bbc. «Disertori e morti non venivano segnalati. Gli elenchi dell’esercito così venivano gonfiati per per trasferire gli stipendi dei militari ad alti funzionari. Le cifre segnate nei registri potrebbero essere sei volte superiori ai dati reali». A ciò si aggiunge il fatto che «in molti prendevano soldi dai talebani per non combattere». Payenda ha abbandonato e il Paese durante l’avanzata degli studenti coranici, lo scorso agosto. Oggi ai microfoni britannici ha offerto la sua versione dei fatti.
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L’esercito fantasma dei talebani, una storia antica
Una storia, in realtà, antica. Già nel 2016, infatti, uno studio condotto dall’Ispettorato generale statunitense per la ricostruzione dell’Afghanistan (Sigar), a proposito del contingente, parlava di circa 300 mila uomini. Ma solo sulla carta, poiché «nessuno era in grado di stabilire con certezza quanti poliziotti o soldati ci fossero. Quanti di questi fossero poi effettivamente in servizio». Più in generale «quanti ne esistessero, data la scarsa accuratezza dei dati». L’obiettivo, come accennato, erano i soldi «I militari non venivano pagati in tempo, altri prendevano soldi da entrambi gli schieramenti, in modo da arrendersi senza combattere», ha rivelato il ministro.
Perché venivano gonfiati i numeri dell’esercito afghano
Ma non solo, si voleva anche dare all’esterno una parvenza di normalità, dimostrare che le cose andassero per il meglio. Una conferma ulteriore di come la corruzione, ha ribadito il Sigar più di recente «abbia avuto effetti corrosivi sull’esercito» e sia divenuta nel tempo un tratto distintivo del nuovo Afghanistan. Un cancro in grado in vent’anni, per un verso di indebolire notevolmente la repubblica, per un altro di rinforzare il sottobosco talebano. Secondo il ministro, tuttavia, le colpe «non sarebbero tanto della popolazione locale», quanto piuttosto della «Comunità internazionale, della Nato e degli Stati Uniti» che in Afghanistan «hanno perso una grande opportunità». Respinta al mittente invece ogni ipotesi di corruzione riguardante l’ex presidente Ashraf Ghani.