Il muro della Salvini lituana
Per arginare l'esodo di profughi dall'Afghanistan, agevolato dall'apertura delle frontiere di Lukashenko, Varsavia, Riga e Vilnius hanno formato un blocco pronto ai respingimenti. A guidarlo, la ministra dell'Interno Agne Bilotaite.
Il disastro in Afghanistan e la nuova ondata di profughi dall’Asia centrale hanno fatto suonare il campanello d’allarme nelle cancellerie occidentali. La parola d’ordine, da Bruxelles a Berlino, è quella di evitare di ritrovarsi di nuovo nel 2015, con i confini al collasso di fronte alle spinta dei migranti. In allerta non sono solo i Paesi del Sudest Europa, attraverso i quali tra Balcani e Mediterraneo corrono le vie dell’immigrazione, ma anche quelli del fronte nord e centro orientale, lungo la linea che parte dal Baltico e scende verso la Mitteleuropa. A partire dalla Lituania. Complice l’autocrate bielorusso Alexander Lukashenko che ormai da un paio di mesi ha pensato di lasciare aperti i confini con le repubbliche baltiche e la Polonia favorendo l’arrivo di profughi. Vendetta per le sanzioni dell’Unione europea, con cui il dialogo è stato interrotto.

La coalizione baltica guidata da Agne Bilotaite per contrastare l’arrivo dei migranti afghani
Se fino a qualche settimana fa il problema era rimasto confinato a livello regionale e nell’ottica del duello, di secondo piano, tra Ue e Bielorussia, il ritorno dei talebani e del terrorismo del sedicente Stato islamico a Kabul hanno spostato l’attenzione verso le frontiere europee con l’ex repubblica sovietica. Da un lato Lukashenko ha minacciato di lasciar passare chiunque sia in arrivo dall’Afghanistan, e magari, come fatto finora, qualcuno in più con l’immigrazione pilotata anche dall’Iraq e dalla Siria, dall’altro tra Varsavia, Riga e Vilnius si è formata una coalizione europea pronta a respingimenti e ad alzare muri. A guidarla è la ministra degli Interni della Lituania Agne Bilotaite, volto duro dell’alleanza conservatrice Unione della patria-Democratici di Lituania, la formazione di centrodestra guidata dal ministro degli Esteri Gabrielius Landsbergis, nipote di Vytautas, primo presidente della Lituania dopo il distacco dall’Urss.

La linea salviniana della ministra degli Interni lituana
L’escalation è cominciata in Lituania già all’inizio dell’anno e Bilotaite si è ritrovata quasi improvvisamente con 4 mila profughi da gestire in casa, rispetto al centinaio scarso del 2020. Numeri relativamente limitati, in confronto a quelli del Sud Europa, ma che nella piccola repubblica ex sovietica stanno rischiando di provocare un terremoto politico e sociale. Il governo di Vilnius ha chiesto aiuto all’Unione europea che ha mandato a luglio qualche rinforzo per i controlli e contributi per alzare il filo spinato lungo la frontiera bielorussa. L’emergenza è in realtà sotto controllo, ma lo scenario afghano preoccupa per il futuro prossimo. Bilotaite è una sostenitrice della linea dura: per adesso sono arrivate in totale circa 2 mila richieste di asilo, ma poche saranno soddisfatte. La ministra ha anche pensato di offrire 300 euro a ogni migrante per prendere la via del ritorno, per ora non se ne è fatto nulla. La strategia comunque è quella condivisa in realtà con Bruxelles e con i partiti della destra europea da sempre intransigenti, come la Lega in Italia. In primo luogo dunque i respingimenti, senza guardar troppo in faccia a chi e perché bussa alle porte, e in secondo la chiusura della frontiere, se possibile in maniera ermetica. Il modello è quello insomma propagato da Matteo Salvini, anche se Bilotaite combatte su un fronte più articolato.

La guerra ibrida di Lukashenko con l’appoggio della Russia
C’è infatti sul dossier immigrazione il gioco sporco di Lukashenko (non tanto diverso però da quello di Erdogan), accusato dalla ministra nemmeno 40enne, di usare i migranti per una guerra ibrida anche con l’aiuto della Russia, che quantomeno non ostacolerebbe una strategia destinata a destabilizzare i confini europei, e poi appunto il duello con Mosca. Bilotaite è in prima linea in tutti gli screzi con il Cremlino e ha già risposto a muso duro a Vladimir Putin quando è arrivata a Vilnius la richiesta d’arresto per Leonid Volkov, fedelissimo di Alexey Navalny, il blogger anticorruzione finito dietro le sbarre in Russia. Putin, alleato per forza di cose con Lukashenko, è considerato in Lituania il nemico numero uno, al di là del problema dei migranti. La nuova élite politica lituana, di cui Bilotaite è al momento l’esponente forse più nota e che comprende anche la premier Ingrida Symonite (indipendente, ma delegata dell’Unione della patria) e il presidente Gitanas Nauseda (ex banchiere che dal 2019 ha sostituito la Lady di ferro antirussa Dalia Grybauskaite) è senza eccezioni allineata geopoliticamente con l’Unione europea e soprattutto con gli Stati Uniti. E non è certo un caso che Vilnus sia diventato il centro della resistenza bielorussa a Lukashenko con la sede diplomatica ufficiale concessa a Svetlana Tikhanovskaya, la rivale del presidente costretta all’esilio e sponsorizzata in primis da Washington.