Il ritiro occidentale dall’Afghanistan non ha solo consentito il ritorno del regime talebano a Kabul e aumentato il rischio della rinascita dello Stato islamico nelle sue varie ramificazioni, ma ha anche cambiato radicalmente gli equilibri in tutta l’Asia centrale: i due grandi player della regione, Russia e Cina, si tengono ovviamente a debita distanza dal caos interno afghano, ma riprendono il Grande gioco di kiplinghiana memoria con un avversario in meno. Anzi, in questa fase di annunciato disimpegno statunitense, Mosca e Pechino sembrano quasi più alleati che concorrenti, con interessi e obiettivi comuni, dalla stabilizzazione dell’area in chiave anti-americana al contenimento delle infiltrazioni terroristiche islamiste che già negli anni passati hanno messo in allarme le repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale e la provincia cinese dello Xinjiang.
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La trasformazione della Sco in funzione anti-americana
Da un lato l’asse russo-cinese si estrinseca nel rapporto solido e pragmatico tra i due leader Vladimir Putin e Xi Jinping, che nell’ultimo decennio hanno dato un notevole impulso alle relazioni bilaterali, dall’altro nella collaborazione attraverso la Sco (acronimo che sta per Shanghai Cooperation Organization) l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, trainata appunto da Russia e Cina, di cui fanno parte anche quattro dei cinque Paesi centroasiatici nati dalle ceneri dell’Urss (Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Uzebkistan), l’India e il Pakistan. Bielorussia, Mongolia, Afghanistan sono stati accolti da qualche anno come membri osservatori. Al prossimo vertice di metà settembre verrà ufficializzato inoltre l’ingresso dell’Iran. Proprio questo è un fattore che aumenta il carattere anti-americano della Sco, che può diventare così anche in reazione al nuovo scenario afghano un’alleanza sempre più militare, sul modello transatlantico della Nato.

L’Afghanistan è il primo vero banco di prova per la Sco
L’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai è nata esattamente 20 anni fa, nel 2001, dal Gruppo di Shanghai 5, fondato per iniziativa di Mosca e Pechino nel 1996. In realtà è sempre stata abbastanza insignificante, il suo peso è però cresciuto nel corso degli anni di pari passo a quello di Russia e Cina sulla scacchiera internazionale e allo spostamento del Cremlino verso Est dopo la crisi ucraina. Le sanzioni occidentali arrivate dal 2014 dopo l’annessione della Crimea e la guerra nel Donbass hanno avuto come conseguenza l’avvicinamento tra le due potenze dell’Eurasia. Putin, che aveva già tentato di riunificare le ex repubbliche sovietiche attraverso l’Unione economica euroasiatica (Russia, Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan), ha trovato in Xi Jinping un partner attento agli interessi strategici per rilanciare il ruolo dominante tra il Caucaso e il Pamir. La situazione in Afghanistan è per la Sco il primo vero banco di prova, in chiave militare e con l’entrata dell’Iran imminente. La Russia in realtà opera già attraverso la Csto (Organizzazione del trattato di sicurezza collettivo) con tre degli Stan centroasiatici (Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan) e in questa cornice nelle ultime settimane sono state tenute esercitazioni congiunte sul confine afghano e altre manovre coordinate da Mosca insieme con l’Uzbekistan. La Sco, coinvolgendo Cina e presto Iran, si presta ovviamente come strumento più adatto per stringere un cordone intorno all’Afghanistan. A rimanere scoperto è il fianco nordorientale, con circa 800 km di confine con il Turkmenistan. La repubblica retta in maniera autoritaria da Gurbanguly Berdymukhamedov è quella più isolata, finora rimasta fuori da ogni tipo di organizzazione post sovietica. Teoricamente è neutrale, ma i rapporti migliori Ashgabat li ha proprio con Mosca, Pechino e Teheran. I contatti con i talebani sono stati per forza di cose riallacciati tra Doha e Kabul nei mesi scorsi, difficile però che il Turkmenistan si muova in maniera autonoma e alla fine dei conti è legato a ciò che decideranno Russia e Cina anche all’interno della Sco. È presto insomma per dire se l’Organizzazione di Shanghai diventerà una sorta di poliziotto asiatico o rimarrà un’istituzione un po’ ibrida imbrigliata nei complessi equilibri tra i suoi membri più potenti, certo è che in questo momento può fare da coperchio per la pentola afghana che rischia di esplodere.