Altro grave lutto nel mondo del calcio. Dopo Sinisa Mihajlovic e Pelé, se n’è andato anche Gianluca Vialli, che da oltre cinque anni lottava contro un tumore al pancreas. La notizia della sua scomparsa è arrivata nella mattinata di oggi, poco dopo le 10. L’ex calciatore era ricoverato a Londra.
Il grande Gianni Brera coniò per lui, nato in un’agiata famiglia di Cremona, il soprannome Stradivialli, mutuato dall’illustre concittadino Stradivari. Vialli non fu mai però un primo violino: agì a lungo in coppia con il gemello del gol Roberto Mancini, deliziando le platee italiane ed europee con la Sampdoria, poi una volta passato alla Juventus fu sì leader, ma mai solista, giammai egoista, sempre trascinatore. Con la morte di Vialli l’Italia del pallone perde uno degli attaccanti del suo periodo più bello, quegli Anni 80 in cui eravamo l’Nba del calcio, e un calciatore capace di essere campione pure nel decennio successivo. Piange anche l’Inghilterra insieme a noi: Vialli nel 1996 fu una delle prime star a trasferirsi in Premier League, dove contribuì alla crescita del Chelsea e dell’intera lega, nelle vesti di calciatore-allenatore. Da quasi tre decenni, poi, aveva fatto di Londra la sua casa.

Gli anni d’oro alla Sampdoria di Mantovani, in coppia con Mancini
Nato il 9 luglio 1964 a Cremona, Vialli esordì in grigiorosso nella stagione 1980/81, conclusa con la promozione nella serie cadetta. Tre stagioni in B e poi il passaggio all’ambiziosa Sampdoria di Paolo Mantovani. In Liguria Vialli mise radici: dopo due annate balbettanti, esplode sotto la guida di Vujadin Boškov, che lo impiega stabilmente come centravanti in coppia con il “10” Mancini, andando in doppia cifra per sei annate di fila. Una meravigliosa stagione calcistica, quella della Samp dei gemelli del gol (e di Pagliuca, Vierchowod, Lombardo, Cerezo, etc), condita da tre Coppe Italia, una Coppa delle Coppe (1990) e soprattutto dallo storico scudetto del 1991.
Mancò solo la ciliegina, ovvero la Coppa dei Campioni sfuggita a Wembley a causa di una bomba di Ronald Koeman, olandese del Barcellona detto rambo: bandiera bianca, ma solo davanti a uno che aveva un cannone al posto della gamba destra.
Le stagioni alla Juventus e la Champions League alzata da capitano
Bomber completo, fortissimo in acrobazia, a cavallo tra gli Anni 80 e 90 era ritenuto il più forte attaccante italiano e uno dei migliori al mondo. Nel 1992 Gianni Agnelli lo volle per rilanciare Juventus, a digiuno di scudetti da troppi anni: «Lui è il Michelangelo della Cappella Sistina. Lo scultore che sa trasformarsi in pittore», disse l’Avvocato, che lo stimava moltissimo. Vialli più Baggio: trent’anni fa non c’era niente di meglio.

Arrivato alla Juventus con otto anni di “ritardo” (nel 1984 Boniperti lo aveva chiesto al presidente cremonese Luzzara, suo amico, che però sparò alto), Vialli visse due stagioni complicate alla Juve sotto al guida di Giovanni Trapattoni (si fratturò persino un piede calciando un rigore), per poi rinascere con Marcello Lippi. Leader carismatico, Vialli trascinò i bianconeri allo scudetto numero 23 segnando reti memorabili, tra cui quella in rovesciata alla sua Cremonese, ottobre 1994. E l’anno successivo, ecco la grande rivincita personale, con la Champions League alzata da capitano a Roma: da allora il trofeo è rimasto una chimera per la Juventus.
Il passaggio al Chelsea e i successi da allenatore-giocatore
A 32 anni, quell’estate Vialli fece le valigie e approdò in Premier League, messo sotto contratto dal Chelsea che non era ancora di Roman Abramovich ma, più prosaicamente, di Ken Bates. Stella di un club in cerca di rilancio dopo decenni di anonimato, vinse la FA Cup nella stagione d’esordio e, una volta assunta la carica di allenatore-giocatore nella seconda, condusse i Blues alla vittoria della Coppa delle Coppe. Ritiratosi dall’attività agonistica nel 1999, Vialli continuò ad allenare fino al 2002, dedicandosi in seguito alla carriera televisiva di opinionista e analista calcistico.

Il tormentato rapporto con la Nazionale
Vialli rientra, unico fra gli attaccanti, nella ristretta cerchia dei calciatori che hanno vinto tutte e tre le principali competizioni Uefa per club. Approdato in Nazionale maggiore a 21 anni, tra il 1985 e il 1992 totalizzò 59 presenze e 16 reti con l’Italia, prendendo parte a due Mondiali (Messico 1986 e Italia 1990) e un Europeo (Germania Ovest 1988). Una rapporto difficile, quello con l’azzurro: partito come titolare a Italia 90, fu scavalcato nelle gerarchie da Totò Schillaci. Poi ebbe incomprensioni con il nuovo ct Sacchi, che lo portarono prima a essere escluso dalla Nazionale e poi a rifiutare la convocazione, una volta tornato in auge. Gemello di Mancini pure in questo, dato che anche l’attuale ct azzurro non ha reso con l’Italia quanto il suo talento gli avrebbe permesso.

La malattia e l’incarico di capo delegazione dell’Italia
Dopo aver affrontato tanti avversari sul campo, nel 2017 Vialli si è ritrovato davanti il più duro: un tumore al pancreas, impossibile da battere con una tiro al volo, con una rovesciata, con una delle sue incornate. Una battaglia affrontata a testa alta e con il ritorno sul campo da calcio, proprio nei quadri di quell’Italia con cui non aveva mai legato: per tre anni ha ricoperto l’incarico di capo delegazione della nazionale italiana, allenata dall’ex compagno in blucerchiato Mancini. Con questo ruolo, ufficialmente da dirigente, ufficiosamente da consigliere e factotum, nell’estate 2021 Vialli ha preso parte alla vittoriosa spedizione italiana a Euro 2020, prendendosi una grossa rivincita in quel di Wembley, stadio che gli aveva dato un enorme dispiacere da calciatore. L’immagine dell’abbraccio con Mancini aveva fatto solcare più di qualche lacrime nei calciofili italiani. La notizia di oggi decisamente di più.