Tra tanti auspici per il nuovo anno, ricco di incognite, c’è già una certezza ben fissata: l’aumento del prezzo della benzina. Un balzello di 18 centesimi di euro al litro maturato in seguito alla decisione del governo Meloni di non rinnovare lo sconto introdotto nella scorsa primavera dall’esecutivo di Mario Draghi e conservato fino al termine del 2022. Così è tornato di moda il video, del 2019, dell’attuale presidente del Consiglio durante la campagna elettorale per le Europee. La leader di Fratelli d’Italia era protagonista di un filmato in cui simulava di fare benzina a un distributore, svelando l’incredibile verità che su 50 euro di carburante alla pompa, 15 euro sarebbero andati al benzinaio mentre, testuale, «35 vanno allo Stato tra Iva e le famose accise». Dopodiché sottolineava con enfasi che alcune di quelle accise «le abbiamo da quando hanno inventato il motore a scoppio». Un video a favore di propaganda che si rivolgeva all’elettorato con la promessa, anzi la «pretesa» di una progressiva abolizione delle accise da parte di chi era al governo.
Eliminare le accise, una battaglia condivisa da Salvini e poi caduta nel nulla
Il tema aveva caratterizzato già un parte del suo intervento al congresso di Fratelli d’Italia del 2014: in quel caso Meloni, parlando ai delegati del suo partito, aveva detto che gli italiani «ogni tanto si arrabbiano e impugnano il forcone per difendersi dall’aumento dell’Iva e delle accise sulla benzina». Del resto il primo esperimento in materia portava la firma del suo alleato-avversario, Matteo Salvini, durante la campagna elettorale per le elezioni Politiche del 2018. Il Capitano era scatenato nel filmato, realizzato nel pieno dell’era della Bestia social salviniana, garantendo la volontà di cancellare le accise e praticamente dimezzare il costo del carburante. Da allora, è passato un bel po’ di tempo: Salvini è stato al governo prima con il Movimento 5 stelle e poi con le larghissime intese a supporto di Mario Draghi. La misura non è mai stata realizzata. Draghi aveva, appunto, varato un intervento temporaneo, durante l’impennata dei prezzi legati all’attacco russo in Ucraina. E Meloni ha preferito lasciar cadere l’iniziativa.
Retromarcia anche sui pedaggi autostradali
La realtà presenta dunque il conto alle destre: alla prova del governo la demagogia sta lasciando spazio alla complessità di far quadrare i conti. Un’operazione razionalità che è affidata principalmente all’eminenza grigia di Palazzo Chigi, il sottosegretario alla presidenza, Alfredo Mantovano. La sua sponda, in materia di pragmatismo, è il ministro dell’Economia, il leghista Giancarlo Giorgetti.

Quello del carburante non è l’unico aumento con cui devono fare i conti gli italiani: da ieri è scattato pure il rincaro del 2 per cento dei pedaggi autostradali e dall’1 luglio si aggiungerà un altro 1,34 per cento. E anche in questo caso è interessante rileggere le parole di Lucio Malan, risalenti al gennaio 2018: «Gli aumenti dei pedaggi autostradali sono un serio danno al Paese, e sono il frutto di politiche sbagliate e ingiuste che questo governo ha portato avanti con ostinazione», diceva l’allora senatore di Forza Italia e ora capogruppo di Fratelli d’Italia a Palazzo Madama. Le autostrade sono state un suo cavallo di battaglia con tante interrogazioni presentate per ottenere chiarimenti sulla gestione del servizio e sui costanti aumenti dei costi. Chissà se farà lo stesso nelle prossime ore. Una linea che era pienamente condivisa da Meloni: agli atti c’è un post su Facebook del 28 dicembre sempre del 2018, con tanto di card ufficiale del partito, in cui la premier in carica metteva nero su bianco con tanto di maiuscoli per urlare tutto il disagio: «Fratelli d’Italia dice NO all’aumento indiscriminato dei pedaggi. BASTA scaricare sui cittadini il peso dei favori nei confronti dei concessionari delle autostrade!». Alla fine si rivolgeva agli utenti: «Siete con noi?», raccogliendo ovviamente risposte entusiastiche. Come per le accise sui carburanti, la bandiera è stata ammainata alla chetichella.
Sigarette più care e il nodo delle concessioni balneari
Per fare cassa, poi, Meloni non ha esitato a introdurre un’altra misura adottata dai vari governi nella storia della Repubblica, un must di qualsiasi finanziaria: l’aumento delle sigarette tradizionali, mentre quelle elettroniche sono state risparmiate, in ossequio a una consolidata predilezione verso le “e-cig” da parte della destra italiana. I fumatori delle “bionde”, però, sono alle prese con un incremento di 10-12 centesimi a pacchetto. Insomma, per drenare risorse si introducono nuovi prelievi sulle loro abitudini. Che sia un pieno di benzina, un viaggio in autostrada o il vizio del fumo. E che il principio di realtà stia pervadendo l’esecutivo guidato da Meloni è chiaro anche su altri punti come quello delle concessioni balneari. Ora i gestori chiedono al governo un tavolo sull’aumento del 25,15 per cento dei canoni, introdotto alla vigilia di Capodanno da una circolare del ministero delle Infrastrutture, che porta il minimo da 2.698 a 3.377 euro. Senza contare i decreti attuativi della legge sulla concorrenza, attesi entro febbraio, per la messa a gara delle concessioni dal 2024. Un orizzonte che i balneari vorrebbero allontanare aspettando di capire che posizione prenderà Palazzo Chigi di fronte a una scadenza fissata anche da una sentenza del Consiglio di Stato, che si aggiunge all’applicazione della direttiva Bolkestein.