Daniel Harding, nuovo direttore musicale dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, dice ormai da anni che per lui volare non è un hobby. C’è da credergli, visto che pilota gli aerei di linea di una primaria compagnia come Air France. Dopo che la notizia della sua nomina nei giorni scorsi è stata ufficializzata – comincerà l’anno prossimo – il Corriere della Sera ha spiegato che si tratta di un vero e proprio doppio lavoro con una precisa divisione dei tempi: ogni anno, sei mesi con la bacchetta e sei alla cloche. Se davvero è così, sarebbe stato interessante capire i motivi per cui alla Fondazione di Santa Cecilia ritengono ottimale un direttore che fino al 2029 volerà spesso lontano dagli impegni romani, alla lettera. Ma non abbiamo trovato traccia di questo argomento nel profluvio di interviste e dichiarazioni dopo la conferenza stampa al Parco della Musica, con o intorno a quello che veniva invariabilmente definito “direttore-pilota”.
La straordinaria eredità lasciata da Antonio Pappano
Quando Harding entrerà in carica, si capirà come ha progettato di gestire i suoi molto diversi impegni. La sua personale organizzazione del lavoro sarà cruciale, perché la posta in palio è alta. In questo momento – grazie allo straordinario lavoro di Antonio Pappano, direttore musicale uscente, in carica dal 2005 – l’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia è la prima in Italia e una delle più importanti nell’affollato panorama internazionale. Pappano consegna a Harding una formazione non soltanto di alto livello strumentale, con prime parti soliste di riconosciuto valore e un esemplare equilibrio fra le sezioni, ma di riconosciuta duttilità e “personalità” musicale: una caratteristica che le ha permesso di affrontare oltre al grande repertorio sinfonico anche autori e composizioni meno frequenti ma non per questo meno significativi, con importanti incursioni nella musica del XX secolo. Nei suoi quasi 20 anni, il direttore italo-inglese ha saputo plasmare un suono di fascinosa chiarezza ed eleganza, che non si limita a esaltare il carattere “italiano” per il quale le nostre orchestre sono riconosciute nel mondo, ma raggiunge una profondità e una sottigliezza espressiva di assoluto rilievo.

Harding, un enfant prodige che ha mantenuto le promesse
Il primo compito di Harding sarà dunque quello di porre le basi per il consolidamento e la prosecuzione di queste caratteristiche, naturalmente affinate alla luce della sua specifica sensibilità musicale e interpretativa, sia nel fatto esecutivo in quanto tale, che nelle scelte di programma. Le premesse perché questo avvenga, ci sono. A prescindere dalla divisione fra la vita da direttore d’orchestra e quella da pilota (rivendicata in chiave motivazionale e come elemento di equilibrio personale), Daniel Harding appartiene infatti a una specie non comune, quella degli enfant prodige che hanno mantenuto le promesse. La sua carriera è cominciata quando non aveva ancora 20 anni sotto la guida di Simon Rattle a Birmingham ed è proseguita come assistente di Claudio Abbado quando il direttore milanese era alla testa dei Berliner Philharmoniker. Nel 1996, a 21 anni, è salito per la prima volta sul podio dell’orchestra che fu di Furtwängler e di Karajan e da allora non cessa di essere invitato alla Philharmonie della capitale tedesca. L’ultima volta, nello scorso febbraio.

Ha diretto tutte le principali formazioni del mondo, in tutti i teatri e i festival che fanno tendenza
All’alba del Duemila, Harding era già nel pieno di una carriera che lo ha portato a guidare praticamente tutte le principali formazioni del mondo, di qua e di là dell’Oceano, in tutti i teatri che contano e nei festival che fanno tendenza, da Aix-en-Provence a Salisburgo, sempre sostanzialmente bene accolto dalla critica (in Italia ha vinto il Premio Abbiati 2011) e invariabilmente acclamato dal pubblico. Mentre Internet cambiava progressivamente e ineluttabilmente l’immagine e il modo di porsi di ogni artista, restava indifferente al mondo dei social (con presenze evanescenti e/o irrilevanti) e alle esigenze della comunicazione. Non ha un sito personale, o almeno chi scrive non è riuscito a trovarlo; le sue note biografiche, che si rincorrono fra le varie istituzioni orchestrali, sono con tutta evidenza “standardizzate”. Ha diretto (e continua a farlo) a Vienna e a Berlino, a Parigi e Milano (alla Scala sia l’opera che la Filarmonica), naturalmente a Londra ma anche a Monaco di Baviera, in Oriente. Nel 2019 è stato protagonista di una tournée di grande successo negli Stati Uniti (a partite dalla Carnegie Hall di New York) alla guida dell’orchestra del Concertgebouw di Amsterdam, un’altra delle formazioni storiche europee. Si concede anche divagazioni musicalmente meno rilevanti ma di qualche significato per l’audience e la popolarità: è salito varie volte sul podio del Concerto di Capodanno della Fenice, ha diretto il Concerto d’estate dei Wiener Philharmoniker nel parco di Schönbrunn, ha debuttato una decina di anni fa all’Arena di Verona in occasione di uno dei gala di Placido Domingo, peraltro senza più fare ritorno nell’anfiteatro.

Gli impegni stabili: dalla Mahler Chamber Orchestra all’Orchestra Sinfonica della Radio Svedese
Quanto agli impegni stabili, il suo curriculum è meno brillante ma comunque considerevole. Nel 1999, a 24 anni, era il direttore principale della Deutsches Kammerphilharmonie Bremen. Ricordiamo una ragguardevolissima esecuzione delle Sinfonie di Brahms, di grande risalto nonostante l’orchestra della città anseatica fosse di organico ridotto, cameristico come dice il suo nome. In seguito, sono venute la prolungata e fruttuosa esperienza nella Mahler Chamber Orchestra (fondata da Claudio Abbado), della quale è stato nominato direttore onorario a vita, il ruolo di direttore ospite principale della London Symphony (dal 2007 al 2017), l’incarico di direttore musicale dell’Orchestre de Paris (2016-2019) e quello analogo all’Orchestra Sinfonica della Radio Svedese, che si concluderà a breve.

Il Parco della Musica potrebbe diventare per Harding una seconda casa
Alla vigilia dei 50 anni, Air France permettendo, l’incarico di Harding a Santa Cecilia potrebbe insomma costituire da un lato una svolta in una carriera già molto importante e dall’altro un’occasione ugualmente significativa per l’orchestra romana, che del resto il direttore inglese conosce da un quarto di secolo. Il passaggio decisivo sarà costituito dalle scelte di programma, oltre che naturalmente dalla loro realizzazione. Le più significative, fra quelle che sono state parsimoniosamente centellinate in occasione dell’annuncio della sua nomina, più che autori “d’obbligo” come Puccini e Verdi, riguardano l’integrale delle Sinfonie di Mahler, un musicista su cui si può dire che Harding lavori fin dall’epoca del suo debutto, gli autori della Seconda Scuola di Vienna (Schoenberg, Berg e Webern) ma soprattutto l’Anello del Nibelungo di Wagner, la Tetralogia, che invece il maestro di Oxford non ha ancora mai affrontato. È una sfida musicale decisiva in quanto tale. Lo è ancora di più per il fatto che l’unico precedente risale a 40 anni fa, protagonista Giuseppe Sinopoli, uno dei direttori che hanno fatto la storia dell’Orchestra di Santa Cecilia. Dovesse vincere questa sfida, il Parco della Musica di Roma potrebbe diventare per Daniel Harding quasi una seconda casa.