A due anni dagli attentati dell’11 settembre 2001 e della successiva invasione dell’Afghanistan, gli Stati Uniti di George W. Bush decisero di concentrarsi sull’Iraq. L’attacco al Paese di Saddam Hussein produsse effetti abbastanza drammatici, dalla violenta deposizione del dittatore – arrestato, condannato a morte e impiccato – a una guerra durata otto anni, dalla frammentazione di una nazione poi facile preda dell’Isis alla distrazione di fondi e risorse dall’Afghanistan. Soprattutto, quell’invasione fu progettata sulla base di prove false, cioè il possesso da parte del leader iracheno di armi di distruzione di massa in realtà inesistenti.
Se la guerra in Afghanistan spinse gli Usa ad aprire la prigione di massima sicurezza di Guantanamo, per quella in Iraq l’amministrazione Bush si servì delle strutture già esistenti sul territorio. Come il carcere di Abu Ghraib, usato da tempo dal regime di Saddam per imprigionare, torturare e uccidere i suoi oppositori. Si stima che solo nel 1984 circa quattromila persone siano state giustiziate ad Abu Ghraib, e spesso i prigionieri politici venivano uccisi in gruppi numerosi in un solo giorno: il 10 dicembre 1999 le vittime furono 101, il 9 marzo 2000 morirono in 58. I cadaveri erano poi gettati in fosse comuni alla periferia di Baghdad.
Lo scandalo americano nel carcere di Abu Ghraib
Il carcere fu quindi utilizzato dagli Stati Uniti nel periodo dell’invasione dell’Iraq, e nel 2004 il nome del centro riempì pagine di giornale e servizi in televisione per lo “Scandalo di Abu Ghraib“. Una vicenda che coinvolse soldati e agenti dell’esercito Usa e della Cia, colpevoli di violazioni dei diritti umani ai danni dei prigionieri: abusi fisici e sessuali, torture e omicidi.
Fu Cbs News, nel corso della popolare trasmissione 60 Minutes, a rendere pubblico lo scandalo con la pubblicazione delle foto ritraenti le violenze. L’amministrazione Bush cercò di minimizzare gli eventi, parlando di casi isolati, e i militari ricevettero il sostegno di alcuni media conservatori statunitensi. Gli eventi portarono a indagini approfondite da parte di Ong come Croce Rossa, Amnesty International e Human Rights Watch, che dimostrarono come gli abusi rientrassero in un più ampio piano di torture e trattamenti contro i diritti umani commessi nei centri di detenzione americani all’estero. Coinvolte anche altre prigioni in Iraq, Afghanistan e proprio a Guantanamo. Fu anche provato che l’autorizzazione alle torture arrivava da militari molto in alto nelle gerarchie, e in alcune deposizioni si sostenne che l’ex segretario alla difesa Donald Rumsfeld ne autorizzò alcune. Alcuni dei responsabili furono processati e condannati. Il carcere è stato chiuso temporaneamente dal 2006 al 2009, poi definitivamente nel 2014.