Ucraina, raffica di dimissioni e sospetti: la fragilità del cerchio magico di Zelensky

Stefano Grazioli
24/01/2023

La cacciata del fedelissimo Arestovich. Poi i casi di corruzione alla Difesa e alle Infrastrutture. Quindi le dimissioni del vice capo dell’ufficio presidenziale Tymoshenko, del vice procuratore generale Symonenko e di quattro viceministri. L'inner circle di Zelensky sta perdendo pezzi. E non da oggi.

Ucraina, raffica di dimissioni e sospetti: la fragilità del cerchio magico di Zelensky

Quando la settimana scorsa Oleksiy Arestovich, considerato uno dei consiglieri più fidati del presidente Volodymyr Zelensky, si era dimesso, aveva anche predetto l’imminente terremoto causato da faide interne. Silurato per aver detto che il missile russo caduto su Dnipro era finito sul palazzo di nove piani causando quasi 50 morti perché deviato dalla contraerea ucraina, era subito stato messo sul sito dei traditori della patria, Mirotvorets, una sorta di lista di proscrizione online ideata tra gli altri da Anton Gerashchenko, advisor al ministero degli Interni e vicino all’ex ministro Arseni Avakov. Arestovich aveva anche sostenuto che l’Ucraina stava non solo perdendo la guerra, ma era dilaniata da dissidi intestini. Il tutto solo pochi giorni prima dall’incidente in cui aveva perso la vita anche il ministro dell’Interno Denis Monastyrsky, su cui l’Sbu sta indagando non escludendo l’ipotesi di sabotaggio.

Ucraina, dimissioni e sospetti: la fragilità del cerchio magico di Zelensky
Oleksiy Arestovich.

La raffica di nuove dimissioni

Arrivano quindi, annunciati, gli scandali al ministero delle Infrastrutture e a quello della Difesa, con casi di corruzione che possono essere sì reali, ma anche frutte di lotte intestine, e le dimissioni di quattro di viceministri (tra cui quello della Difesa Vyacheslav Shapovalov), del vice capo dell’ufficio presidenziale, Kyrylo Tymoshenko del vice procuratore generale Oleksiy Symonenko e dei governatori regionali di Dnipropetrovsk, Zaporizhzhia, Kyiv, Sumy e Kherson. Difficile dire quanto il mini terremoto affondi le radici in casi singoli o in vizi antichi e se sotto scandali e dimissioni ci sia la scure della giustizia selettiva, metodo sempre in vigore in Ucraina, secondo il quale il potere politico ogni tanto cerca di fare pulizia al suo interno, soprattutto sul versante dell’opposizione e degli alleati più scomodi o divenuti impresentabili. Certo è che per Zelensky non si tratta della prima crisi interna, ma dell’ultima di una serie che ha contraddistinto il percorso della sua presidenza e dei suoi governi negli ultimi quattro anni.

Ucraina, dimissioni e sospetti: la fragilità del cerchio magico di Zelensky
Kyrylo Tymoshenko (da Ukraininform).

Due premier e svariati rimpasti in meno di quattro anni

Dalle elezioni parlamentari del 2019, vinte a mani basse con quasi il 44 per cento dei consensi per Servitore del popolo, il partito di riferimento del presidente, e con una maggioranza assoluta in parlamento, dove dei 450 seggi dal 2014 una trentina sono vacanti a causa dell’annessione della Crimea e l’occupazione del Donbass, il governo ucraino è stato monopolio della formazione di Zelensky. Alla schiacciante forza sulla carta e alla presunta stabilità si è però affiancata la realtà di un sistema politico cronicamente fragile, in preda alle correnti politiche e oligarchiche e dall’inizio dello scorso anno condizionato anche dal conflitto. Per questo nel giro di meno di quattro anni sono arrivati al governo due premier, il primo Olexey Goncharuk e quello attuale Denis Shmigal, che hanno cambiato sotto di loro quattro vice-premier, due ministri della Difesa, tre ministri degli Interni, due ministri per i Veterani, due ministri delle Finanze, due delle Infrastrutture, due delle Politiche sociali, due della Difesa, tre della Salute, due dell’Ambiente, tre dell’Educazione, due delle Politiche agrarie, due della Cultura, quattro dello Sviluppo economico e cinque dell’Energia. Il procuratore generale è stato cambiate cinque volte. Senza contare ovviamente la girandola dei vice, dei sottosegretari, degli ambasciatori e dei vari rappresentanti nelle sedi istituzionali internazionali. E la fragilità del cerchio magico di Zelensky che l’invasione della Russia ha reso più evidente.

Zelensky, il partito della guerra ucraino e le frizioni con gli Usa
Volodymyr Zelensky (Getty Images).

La marginalizzazione dell’opposizione filorussa a partire dal 2021

Il quadro sulla solidità del sistema politico attuale ucraino peggiora ancora se si osserva che già da prima dell’inizio della guerra, a partire dal 2021, Zelensky ha iniziato a marginalizzare l’opposizione filorussa, forte soprattutto nell’Est, che costituiva dopo il voto del 2019 il secondo partito alla Rada con 43 deputati. Dopo l’invasione, la Piattaforma di opposizione è stata messa al bando, il suo principale sponsor Victor Medvedchuk prima arrestato poi scambiato con prigionieri ucraini in Russia, e un’altra una dozzina di piccole formazioni sono state bandite. Nonostante il monopolio politico, e la provvisoria tregua con i partiti dell’opposizione moderata, quello dell’ex presidente Petro Poroshenko e quello dell’ex premier Yulia Tymoshenko, e nonostante anche il sostanziale monopolio dell’informazione grazie alla legge marziale, governo e presidente non sono riusciti ad assorbire le debolezze strutturali di un sistema che li sta fagocitando.

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