Migranti morti nei cantieri in Qatar, la vicenda di un nepalese di 32 anni

Redazione
24/11/2022

Dietro la costruzione degli stadi del Mondiale 2022 ci sono le storie dei lavoratori migranti deceduti nei cantieri. Che secondo una stima sono 6.500. Tra questi Umesh Kumar Yadav, dal Nepal. Faceva video su TikTok, è caduto da un'impalcatura. La famiglia chiede giustizia. Ma Doha continua a ripetere di aver garantito gli standard di sicurezza. Il racconto.

Migranti morti nei cantieri in Qatar, la vicenda di un nepalese di 32 anni

Dietro i numeri, terribili, ci sono volti e storie. Che spiegano meglio di ogni statistica le condizioni di lavoro a cui sono state sottoposte migliaia di persone per la costruzione degli stadi del Mondiale 2022 in Qatar. Secondo un’inchiesta del Guardian uscita nel febbraio del 2021, sono almeno 6.500 i lavoratori migranti morti nei cantieri. Il governo del Paese ospitante la Coppa del mondo Fifa, ovviamente, smentisce. E riduce i casi verificati a pochissime unità. Ma è difficile avere la certezza dei dati, visto che le autorità tenute a controllare sono totalmente inaffidabili. Di certo c’è la forma di apartheid che hanno dovuto subire questi immigrati nel Paese del Golfo, separati dal resto della società e la cui vita si è ridotta solo a lavorare, mangiare e dormire. E qualche volta morire. Una delle storie dietro a questi decessi è stata raccontata dalla Bbc e riguarda una famiglia nepalese.

LEGGI ANCHE: Qatar 2022, Doha si difende dalle accuse di violazione dei diritti umani

Migranti morti nei cantieri in Qatar, la vicenda di un nepalese di 32 anni
Lavoratori a Doha. (Getty)

Agenzie di collocamento pagate 1.500 dollari per trovare un impiego

Sono state milioni le persone provenienti dall’Asia meridionale impiegate nei progetti di costruzione degli impianti calcistici, e molte arrivavano dal Nepal. Come Umesh Kumar Yadav, 32 anni. Che è tornato nel suo Paese a bordo del volo QR 644 della Qatar Airlines, atterrando all’aeroporto nepalese di Kathmandu. Solo che Umesh si trovava dentro una bara. Il padre vive a Golbazar, 250 chilometri a Sud-Est di Kathmandu, la capitale, in una casa di mattoni e con un bufalo legato fuori: è uno dei quartieri più poveri di una delle nazioni più povere del mondo. Ecco perché quando a suo figlio è stata offerta la possibilità di andare a lavorare nel ricco Qatar, Laxman Yadav ha venduto alcuni dei suoi bufali per pagare 1.500 dollari a un’agenzia di collocamento che aveva promesso di trovare un lavoro a Umesh. Questi agenti sono abituati a visitare aree povere del mondo, non solo in Nepal, ma anche in Bangladesh e in India, offrendo poi ai giovani uomini un lavoro redditizio all’estero, in cambio di ingenti somme di denaro per garantire loro un visto. Questi migranti passano spesso da un contratto all’altro, rendendo difficile per i loro parenti sapere esattamente dove sono impiegati e per chi.

Migranti morti nei cantieri in Qatar, la vicenda di un nepalese di 32 anni
Lavoratori migranti in Qatar. (Getty)

Video pubblicati su TikTok direttamente dal cantiere

Da Golbazar, Laxman dunque non sapeva molto della vita di suo figlio in Qatar: del resto lui non possiede uno smartphone e non era certo in grado di seguire gli aggiornamenti quotidiani che Umesh pubblicava su TikTok. Nei suoi video, lo si poteva vedere ballare davanti allo sfarzoso skyline del Qatar o nel suo alloggio in stile dormitorio con altri lavoratori migranti. Il 32enne ha anche condiviso alcuni video di lui al lavoro nei cantieri, mentre sorrideva dall’alto di una scala o sollevava pesanti blocchi di cemento come sfida, in pieno stile TikTok. Il 26 ottobre aveva pubblicato un filmato di se stesso mentre ballava di notte davanti ai grattacieli qatarioti sui cui campeggiavano gli annunci per l’inizio della Coppa del Mondo. È stato il suo ultimo post.

Migranti morti nei cantieri in Qatar, la vicenda di un nepalese di 32 anni
Umesh Kumar Yadav nei suoi video su TikTok.

La foto dell’impalcatura rotta, ma la società smentisce

Il cugino di Umesh, che lavorava anche lui in Qatar, ha ricevuto semplicemente una telefonata il 27 ottobre in cui gli veniva comunicato il decesso. È dovuto quindi presentarsi con altri migranti al cantiere per scoprire come era successo. «Ci hanno detto che stava sollevando l’impalcatura, quando ha toccato qualcosa e si è rotto. Poi è caduto», ha spiegato. C’è anche una foto che in effetti mostra l’impalcatura rotta, appesa al lato di un edificio alto diversi piani. Il cugino ora chiede giustizia: «Avrebbero dovuto occuparsi della sicurezza sul posto di lavoro. Dovevano controllare tutto e solo allora permettere alle persone di lavorare». Dal canto suo, la società di costruzioni per cui lavorava Umesh ha negato strenuamente che sia stata una falla nella sicurezza a causare la sua morte: «L’incidente è avvenuto a causa della sua negligenza e imprudenza. L’operaio deceduto è stato molto disattento nonostante fosse stato avvisato più volte di rispettare le condizioni di sicurezza come il resto dei suoi colleghi». Uno scaricabarile sul morto.

Migranti morti nei cantieri in Qatar, la vicenda di un nepalese di 32 anni
L’immagine dell’impalcatura crollata.

In un solo anno segnalati 140 casi di violazione dei diritti dei lavoratori

Da quando è iniziata l’opera di costruzione della Coppa del Mondo in Qatar, sono state tante le notizie sulle proibitive condizioni di lavoro e sulla morte dei migranti, spesso costretti a estenuanti turni sotto il sole cocente. Eppure il governo del Qatar continua a ripetere di essersi impegnato a «garantire la salute, la sicurezza e la dignità di tutti i lavoratori impiegati nei nostri progetti», sostenendo di aver migliorato le norme a tutela degli operai. Peccato che nuovi dati forniti dal Business and Human Rights Resource Center dicano altro: solo nell’ultimo anno ci sono stati quasi 140 casi di violazione dei diritti dei lavoratori, di cui circa la metà relativi a problemi di salute e sicurezza. E la cifra reale potrebbe essere anche più alta, ma spesso le denunce non vengono fatte per paura di rappresaglie.

Il funerale e i problemi economici lasciati alla famiglia

La Bbc ha visto più di una dozzina di certificati di morte di lavoratori provenienti da tutta l’Asia meridionale in un periodo di sei anni. In molti casi si parla di «lesioni contusive multiple». Le famiglie sono ancora in attesa di risposte. Mentre la bara di Umesh si dirigeva dall’aeroporto a Golbazar, suo padre Laxman e dozzine di altri abitanti del villaggio si preparavano per il funerale, raccogliendo legna e fieno in modo da accendere il fuoco. In Nepal è tradizione che il figlio maggiore della vittima accenda la pira. E così Laxman ha dovuto tenere in braccio il figlio di Umesh, Sushant, che ha solo 13 mesi, infilandogli un bastoncino nella piccola mano in modo che potesse simbolicamente far nascere la fiamma. Oltre al dolore per il lutto, c’è anche una questione economica non secondaria, come ammette la madre di Umesh, Sumitra, con il viso segnato dalle lacrime: «Lui ci sosteneva a livello finanziario. Abbiamo prestiti da pagare e i suoi bambini piccoli da mantenere. Era il mio eroe».