Cosa c’è dietro la “manovra dei rinvii” di Meloni e Salvini

Marco Zini
22/11/2022

Altro che roboanti promesse da campagna elettorale: su pensioni, reddito di cittadinanza e flat tax Meloni e Salvini sono costretti a temporeggiare. Rimandando al 2023 le vere riforme. Ora dovranno essere convincenti con l'elettorato di centrodestra, abituato alla propaganda del "tutto e subito".

Cosa c’è dietro la “manovra dei rinvii” di Meloni e Salvini

Hai voglia a rassicurare, come fa la premier, a dire che con questa manovra «stiamo iniziando un lavoro» e gli impegni presi in campagna elettorale «vanno concepiti nell’orizzonte della legislatura». Ma la sensazione che questa sia la legge di Bilancio dei rinvii c’è e rimane. Slitta la riforma delle pensioni, rinviato il ridisegno del reddito di cittadinanza, la misura sulla flat tax viene definita da Il Sole 24 ore «omeopatica». E ne ha di ragioni la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, nel dire che il tempo era poco, che l’emergenza energetica – che ha drenato 21 miliardi su 35 – era un paletto pesante. Però l’impressione di una legge di Bilancio monca, priva di quello scatto tipico soprattutto dell’inizio di una esperienza di governo rimane.

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Quando Meloni diceva: «Bisogna dare subito 1.000 euro a chiunque ne faccia richiesta»

E i primi a saperlo, forse, sono proprio la stessa Meloni e il suo vice, Matteo Salvini, attentissimo a tutti gli aspetti che potrebbero minare i toni propagandistici. La leder di Fratelli d’Italia in conferenza stampa dice di aver «preso impegni in campagna elettorale sul taglio del cuneo fiscale, il reddito di cittadinanza, la norma “più assumi e meno paghi”, le pensioni minime. Stiamo iniziando un lavoro e per me sono impegni che vanno concepiti nell’orizzonte della legislatura. Ma sono contenta che nella prima manovra si sia aperto un varco su tutte le misure che caratterizzano le scelte politiche di questo governo, ne vado molto fiera». Salvini le fa eco: «Politicamente parlando è un ottimo inizio, siamo qui da 30 giorni, penso che gli italiani stiano cogliendo il cambio di marcia. Non è la manovra che risolve in un sol colpo i problemi, ma la prima di cinque, buona la prima». Insomma, sono lontani i tempi del “tutto e subito”, quando Meloni – era il marzo 2020 in piena prima ondata Covid – diceva che per gli aiuti «non si possono aspettare i tempi della burocrazia. Bisogna dare subito 1.000 euro con un semplice clic a chiunque ne faccia richiesta (meglio online) direttamente alla propria banca». No, non è più il momento.

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Cosa c'è dietro la "manovra dei rinvii" di Meloni e Salvini
Matteo Salvini e Giorgia Meloni. (Getty)

Reddito di cittadinanza, 8 mesi di congelamento in attesa di una norma

Niente stop al reddito di cittadinanza. Almeno per ora. Per i prossimi 8 mesi nulla dovrebbe cambiare (ma occorrerà leggere nei dettagli la norma, al momento solo vagamente descritta nel comunicato di Palazzo Chigi al termine del Consiglio dei ministri). Dal primo gennaio 2023 alle persone tra 18 e 59 anni abili al lavoro il sussidio sarà riconosciuto solo per 8 mensilità, a meno che non si faccia parte di nuclei con disabili, minori, donne in stato di gravidanza o persone a carico con almeno 60 anni. Al momento, tra le altre novità principali la decadenza dal beneficio se si rifiuta un’offerta di lavoro (oggi ne servono due). Ma bisognerà capire quando sarà operativa la previsione, se dal primo gennaio prossimo o comunque dopo gli 8 mesi di percezione del reddito. Di riforma se ne riparla solo dal prossimo anno. «Tenendo conto dei tempi di realizzazione della manovra che non ci consentivano di mettere in campo una riforma complessiva degli interventi a favore della povertà e quelli per favorire l’inclusione lavorativa», quindi «nel corso del 2023 verrà disegnato un percorso diverso», dice la ministra del Lavoro, Marina Calderone.

Pensioni: dite a Durigon di farsene una ragione, è quota 103

L’altro nodo non sciolto e solo rinviato è quello sulle pensioni. L’obiettivo principale del centrodestra era quello di evitare il ritorno alle regole della legge Fornero dal prossimo anno e il punto è stato raggiunto. In manovra, infatti, è stata inserita una misura ponte per consentire, solo per il 2023, di andare in pensione con 41 anni di contributi e 62 d’età. «Io non la chiamo quota 103, la chiamo quota 41», dice Claudio Durigon, sottosegretario al Lavoro che cura il dossier previdenziale per la Lega. Ma con tutta la fantasia del mondo, sulla norma inserita in legge di bilancio “pesa” quel requisito anagrafico che il centrodestra, soprattutto il Carroccio, aveva promesso di cancellare del tutto, lasciando la possibilità di uscire dal lavoro con il solo requisito dei 41 anni contributivi. E infatti lo stesso Durigon evidenzia come «abbiamo cominciato a inserire nel contesto di questa riforma il famoso numero 41 che sono gli anni di contribuzione. Questo secondo me è il punto di partenza che ci lega molto con le parti sociali. Da qui cercheremo di adeguarci con una riforma complessiva pensionistica durante l’anno per far sì che questa quota 41 rimanga prevalente sulla possibilità di fuoriuscita dal mercato del lavoro». Per ora comunque è quota 103, se la matematica non è un’opinione.

Pensioni, Durigon conferma la formula 41+62: «Ci prendiamo un anno, fare le cose di fretta avrebbe portato degli errori».
Claudio Durigon (Facebook)

Una Flat tax “omeopatica”: chissà se gli autonomi si accontenteranno

Gli autonomi e le partite Iva vedono salire il tetto della flat tax da 65 mila a 85 mila. Se quella che viene definita “tassa piatta” generalizzata – pure evocata in campagna elettorale – era un obiettivo praticamente irrealizzabile, l’asticella degli 85 mila euro rimane lontana anche dalla soglia promessa in campagna elettorale, quella dei 100 mila. E chissà se agli autonomi – una fetta importante dell’elettorato di centrodestra – si accontenterà della flat tax incrementale al 15 per cento con una franchigia del 5 per cento e un tetto massimo di 40 mila euro.

Cosa c'è dietro la "manovra dei rinvii" di Meloni e Salvini
Il governo Meloni. (Getty)

Tutto rimandato al 2023: anche Giorgetti ammette il passo prudente

Insomma, a voler tirare le somme, il 2023 dovrebbe essere l’anno delle riforme. Reddito di cittadinanza, fisco, pensioni. Se finora il passo del governo, come evidenziato più volte dal titolare dell’Economica, Giancarlo Giorgetti, è stato segnato dalla prudenza, con i tanti rinvii lo stesso esecutivo pone il prossimo come anno chiave della legislatura. E senza dimenticare un elettorato per anni abituato alla propaganda del “faremo tutto e subito” e che dovrà abituarsi ora ai tempi e modi imposti dal governo. Lega e Fratelli d’Italia, seppur ancora in luna di miele con i votanti, dovranno fornire spiegazioni. Le più credibili possibile.