Matteo Salvini sotto assedio: perché sulla Lombardia si gioca tutto

Andrea Muratore
30/09/2022

I colonnelli della Lega vogliono sfruttare un eventuale flop di Salvini sulla scelta del nome per il Pirellone per defenestrarlo. Letizia Moratti e Giorgia Meloni gli preparano lo scherzetto. E il Carroccio vuole rigenerarsi archiviando lui e la fase di lotta, per tentare la carta del "buon governo".

Matteo Salvini sotto assedio: perché sulla Lombardia si gioca tutto

Letizia Moratti rompe gli indugi e apre il fronte con Attilio Fontana per la corsa alla Regione Lombardia nelle elezioni del 2023. Così la partita per il Pirellone entra a gamba tesa nel clima già pesante dentro il centrodestra, uscito sì vittorioso dalle urne il 25 settembre, ma con la Lega malconcia e gli equilibri interni che si sono fatti ancora più precari. La sortita non è casuale. L’ex sindaco di Milano, come già sussurrato in passato da fonti del centrodestra, aveva trovato una quadra con Giorgia Meloni che prevedeva l’assegnazione di una poltrona di peso, con l’obiettivo comune di erodere centralità al Carroccio dentro la coalizione. Per somma gioia (o Letizia, usando un gioco di parole) della futura premier, lo scarso risultato di Matteo Salvini alle Politiche facilita questa manovra. La “mutazione genetica” di Fdi sta tutta nello sfondamento che ha portato i meloniani a essere la formazione più votata nelle terre amministrate da anni dalla Lega: Friuli-Venezia Giulia, Veneto e, soprattutto, Lombardia. Il partito erede di quell’Alleanza nazionale, che i leghisti associavano a “Roma ladrona” e ai dipendenti pubblici del Sud, ha conquistato i cuori e le menti dei ceti imprenditoriali e della borghesia del Nord. Uno tsunami che rischia di travolgere Salvini e la sua leadership, con Roberto Maroni che ha chiesto una svolta. E che pone le premesse per la perdita delle ultime certezze rimaste alla Lega, prima fra tutte la garanzia di tenere la Lombardia.

Roma a Meloni Salvini è sotto assedio: sulla Lombardia si gioca tutto
Giorgia Meloni. (Getty)

Moratti, Meloni, i “colonnelli” del Nord: il triplice fuoco su Salvini

Letizia Moratti, i leghisti desiderosi di stabilizzare il partito dopo lo choc elettorale e, in sostanza, la Meloni e i colonnelli di Fdi che si apprestano a prendersi Palazzo Chigi hanno un obiettivo comune nel mirino: Matteo Salvini. «Lo cuoceranno a fuoco lento», ipotizza una fonte leghista critica del fu Capitano sentita da Tag43. «La Moratti è il segno che Giorgia alzerà la posta», aggiunge, dicendosi certo che «se avremo un confronto congressuale in inverno Salvini difficilmente ne uscirà in sella». Per la Moratti, Fontana e Salvini simul stabunt, simul cadent; per i leghisti vicini a figure come Maroni e Luca Zaia il segretario ha ghettizzato la Lega in Europa e in Italia e rischia di compromettere anche la risalita nelle roccaforti sulla scia di un modello paragonabile alla Unione Cristiano-Sociale in Baviera (Csu); la Meloni, in buona sostanza, ha il timore che un Salvini ancora a capo del Carroccio possa destabilizzare il governo, per quanto in Fdi si ricordi come l’esito elettorale incontestabile abbia fatto venire meno l’incubo di un Salvini desideroso di impuntarsi per legare alla sua nomina al Viminale le sorti di una maggioranza di governo. La Meloni non farà alcuna mossa esplicita in direzione di una destabilizzazione dell’alleato, ma politicamente apre più forni e si tiene possibilista per ogni opzione, come il caso Moratti conferma.

Roma - Salvini è sotto assedio: sulla Lombardia si gioca tutto
Letizia Moratti. (Getty)

Fin qui i consensi avevano cancellato gli errori di Salvini

Le truppe si vanno compattando e l’accerchiamento a Salvini è in atto. Paolo Grimoldi, ultimo segretario della Lega Lombarda, è sceso negli ultimi giorni in campo annunciando la raccolta di 1.500 firme dentro al Carroccio per chiedere una fase congressuale. Roberto Maroni ha “lanciato” Zaia e aperto alla federazione con Forza Italia, che appare come il riconoscimento della leadership odierna a Giorgia Meloni e della natura logora del brand Lega. Silenzioso in queste giornate, è invece Giancarlo Giorgetti che però chiude a ogni prospettiva di corsa alla guida del partito e mira a riallacciare i legami con il mondo europeo e statunitense che ne hanno fatto il garante della Lega durante il governo Draghi, ma non hanno evitato lo strappo estivo del segretario. Alle spalle di tutti, Massimiliano Fedriga, presidente del Friuli-Venezia Giulia, tesse la sua trama e ragiona, da un lato, sul fatto che l’anagrafe gioca a suo favore e che può puntare a consolidare il controllo sul vero asset rimasto in mano a Salvini, ossia un gruppo parlamentare italiano ed europeo ancora in maggioranza fedele alla sua linea. Ma che potrebbe sfarinarsi se la stella del senatore milanese si appannasse.

Salvini è sotto assedio: sulla Lombardia si gioca tutto
Matteo Salvini della Lega. (Getty)

Sulla scelta del nome per il Pirellone Salvini si gioca l’osso del collo e nella Lega, come in ogni partito leninista che si rispetti, alla congiura interna si preferisce il processo di fronte a possibili fallimenti politici. Al Capitano i consensi hanno a lungo cancellato una serie di scivoloni, dal Papeete del 2019 ai referendum sulla giustizia del giugno 2022, ma il terrore dell’ex ministro dell’Interno oggi è quello di dover alzar bandiera bianca sul nome di Fontana. Meloni tiene la carta Moratti per un ministero importante (si pensa alla Salute), la Lega teme che sull’effetto-traino di Fdi in Lombardia gruppi di potere come quello di Comunione e liberazione, che al Meeting ha applaudito l’aspirante premier, possano riprendere quota: i colonnelli leghisti sentono che per assicurarsi un futuro, oggi più che mai, l’alleata numero uno è proprio la Meloni stessa.

Rigenerarsi col buongoverno: la scommessa leghista

La Lega, ragionano i leghisti, può rifarsi una verginità in caso di caduta di Salvini mostrandosi partito responsabile di governo e archiviando la fase di lotta e di contestazione che anche nei palazzi il Capitano ha mostrato durante il governo Conte I e nel governo Draghi. «Se governiamo bene e uniti, gli elettori torneranno», ha dichiarato il vicesegretario Lorenzo Fontana, e il pensiero è condiviso da molti esponenti di spicco. Si tratta solo, nei prossimi mesi, di trovare un casus belli per accelerare la fase congressuale. E la partita della Regione Lombardia è molto chiara. I leghisti più critici contro Salvini in queste ore testimoniano che dopo l’annuncio della Moratti di una possibile candidatura in solitaria non c’è stata una corsa alle barricate del Carroccio per difendere Attilio Fontana da una possibile defenestrazione. Alla Lega interessa mantenere le posizioni e, soprattutto, presidiare lo “Stato nello Stato” costruito attorno al Pirellone e a Palazzo Regione tra enti partecipati, società controllate, ospedali. Fontana è l’uomo trainato alla presidenza della Regione a netta maggioranza sull’onda del salvinismo rampante del 2018; è chiaro che l’appannamento della leadership del segretario lo investa. E i leghisti più aperti alle logiche dell’impresa, del federalismo moderato, della convergenza al centro oggi hanno più interesse a un duplice accordo con la Meloni, a Roma e a Milano, anche se questo dovesse significare la presidenza della sua Regione-simbolo. Salvini, in quest’ottica, ha un’immagine logora e difficilmente spendibile per qualsiasi rifondazione agli occhi degli stessi leghisti. E tra le pressioni della Moratti, le speranze della Meloni di dialogare con una Lega governista e le ambizioni di rivincita dei leghisti pragmatici, la prima torre a cadere potrebbe essere proprio quella dell’ex titolare del Viminale. «Tanto la Lega in Lombardia conosce ogni comune e ogni dinamica», sottolinea la nostra fonte nel Carroccio. «Anche alla presidenza, Fdi avrà bisogno di noi», è la conclusione del ragionamento. Contare oltre il peso dei voti: la sfida della ricostruzione del Carroccio passa da questo concetto. Mai compreso appieno dall’appannato Capitano.