Il 31 marzo 1980, dunque 43 anni fa, moriva il velocista e lunghista statunitense Jesse Owens. Ai Giochi Olimpici di Berlino 1936, che immortalati dalla regista del Reich Leni Riefenstahl avrebbero dovuto sancire la superiorità della razza ariana, l’atleta afroamericano riuscì a vincere quattro medaglie d’oro, provocando un certo imbarazzo tra i vertici nazisti. E diventando famoso – anche – per un “incidente” con Adolf Hitler che, in realtà, non avvenne mai.
La borsa di studio alla Ohio State University e i quattro record in un giorno
Figlio di un povero agricoltore e ultimo di 10 fratelli, James Cleveland Owens nacque a Oakville, in Alabama, il 12 settembre 1913. Con la famiglia si trasferì da bambino a Cleveland, in Ohio, ma anche nel nord degli Stati Uniti conobbe la segregazione razziale e la miseria, acuita dalla Grande Depressione. Da ragazzino fece i lavori più umili, allenandosi nei ritagli di tempo nella corsa. A 20 anni, Owens catturò improvvisamente l’attenzione con grandi prestazioni nella velocità e nel salto in lungo ai campionati nazionali studenteschi, che gli valsero una borsa di studio alla Ohio State University. Il 25 maggio 1935 al meeting di atletica Big Ten di Ann Arbor, nel Michigan, nel giro di 45 minuti stabilì tre record mondiali e ne eguaglio un quarto: salto in lungo con la misura di 8,13 m (primato destinato a durare fino al 1960), 220 iarde piane in rettilineo (20″3), 220 iarde a ostacoli in rettilineo (22″6, primo uomo a scendere sotto i 23″), 100 iarde (9″4).

Gli ori ai Giochi di Berlino e il saluto (mai negato) di Hitler
Alle Olimpiadi di Berlino, organizzate come una grande celebrazione del regime nazista (la cerimonia della torcia olimpica, considerata un’antica tradizione, fu concepita per l’occasione), Jesse Owens arrivò da grande favorito. E non deluse le attese. Quattro le medaglie d’oro conquistate in Germania: il 3 agosto vinse i 100 m piani, il 4 agosto il salto in lungo, il 5 agosto i 200 m piani e il 9 agosto la staffetta 4×100 m. Il controverso episodio passato alla storia, ma in realtà mai accaduto, si “verificò” dopo la gara del salto in lungo. Quel pomeriggio all’Olympiastadion era presente anche Hitler che, indispettito dalla vittoria di Owens sul tedesco Luz Long (i due atleti avevano tra l’altro stretto amicizia), se ne sarebbe frettolosamente andato via dallo stadio per non stringergli la mano. Non andò così, come raccontato dallo stesso Owens nella sua autobiografia: «Dopo essere sceso dal podio del vincitore, passai davanti alla tribuna d’onore per rientrare negli spogliatoi. Il Cancelliere tedesco mi fissò, si alzò e mi salutò agitando la mano. Io feci altrettanto, rispondendo al saluto».

Vincente in Germania, ma vittima di razzismo negli Stati Uniti
In fondo, nella Germania che di lì a poco avrebbe scatenato la Seconda Guerra mondiale e mandato milioni di persone a morire nei lager, Owens fu trattato meglio che negli Stati Uniti. Le medaglie di Berlino furono un parziale schiaffo al Führer – la Germania vinse comunque 33 ori – ma lui ne aveva subiti tanti belli pieni in patria, da ragazzo. E, tornato dall’Europa, non sarebbe andata meglio. Innanzitutto, il presidente Franklin Delano Roosevelt non lo invitò alla Casa Bianca e non gli fece nemmeno una telefonata di congratulazioni. A Berlino, Owens aveva dormito in albergo insieme agli altri atleti. Quando negli Stati Uniti partecipò a una serata in suo onore all’hotel Waldorf-Astoria di New York, fu costretto a entrare dall’ingresso posteriore e a usare il montacarichi invece dell’ascensore, riservato ai bianchi. Era ancora l’America della segregazione razziale, che sarebbe stata realtà ancora per una trentina d’anni. Vincitore di quattro ori olimpici, Owens come tutti gli altri neri non poteva vivere come i bianchi. Non poteva sedersi nella parte anteriore degli autobus, non poteva mangiare nei ristoranti per bianchi o usare gli stessi bagni pubblici. «Allora qual è la differenza?», disse in seguito in un’intervista.

Ignorato da Roosevelt, fu invitato alla Casa Bianca solo nel 1976 da Ford
Negli anni successivi ai Giochi della XI Olimpiade si barcamenò tra i lavori più svariati: fece il benzinaio, gestì una ditta di lavaggio a secco, fu assunto in un parco giochi, ma si ritrovò anche a gareggiare contro cavalli, cani e motociclette durante eventi a pagamento. Nel dopoguerra diventò preparatore atletico degli Harlem Globetrotters e si cimentò – con un certo successo – come conferenziere, principalmente come motivatore per aziende commerciali. Ignorato da Roosevelt e dal suo successore Harry Truman, solo nel 1976 ricevette da Gerald Ford la Medaglia per la Libertà, il più alto riconoscimento civile degli Stati Uniti. Jesse Owens si spense quattro anni dopo a Tucson, Arizona, a causa di un tumore ai polmoni.
Tag43 vi dà il buongiorno con i quattro ori di Jesse Owens alle Olimpiadi di Berlino.