Il 29 novembre 1924 moriva a Bruxelles Giacomo Puccini. Nato a Lucca il 22 dicembre 1858, da ragazzo non eccelleva negli studi tanto che lo zio materno a cui venne affidato dopo la morte prematura del padre lo arrivò a definire “falento”, un fannullone senza talento. Anche in seminario i risultati continuarono a essere scarsi, soprattutto in matematica. Del Puccini studente fu detto: «Entra in classe solo per consumare i pantaloni sulla sedia; non presta la minima attenzione a nessun argomento, e continua a tamburellare sul suo banco come fosse un pianoforte; non legge mai». Il suo talento invece sbocciò all’Istituto Musicale di Lucca. A soli 14 anni iniziò a guadagnare suonando l’organo in chiesa e intrattenendo al pianoforte i clienti del Caffè Castelli, in centro a Lucca. Nel 1876 assistette al teatro Nuovo di Pisa all’allestimento di Aida di Giuseppe Verdi, una esperienza che lo folgorò e lo spinse verso l’opera. Quattro anni dopo entrò al Conservatorio di Milano diventando studente di Amilcare Ponchielli, il cui influsso si ritroverà costantemente nei futuri lavori del compositore. Grazie a Ponchielli, Puccini conobbe Pietro Mascagni a cui lo legò una duratura amicizia e l’apprezzamento per le opere di Richard Wagner.

La collaborazione con Illica e Giacosa: Bohème, Tosca e Madama Butterfly
Dopo alcuni successi milanesi, come Le Villi e l’Edgar (i cui libretti furono scritti dal poeta scapigliato Ferdinando Fontana), Puccini si affermò definitivamente con la Manon Lescaut. Rappresentata il primo febbraio 1893 al teatro Regio di Torino l’opera ebbe un successo straordinario – la compagnia venne chiamata più di 30 volte alla ribalta – e segnò l’inizio della collaborazione con i librettisti Luigi Illica e Giuseppe Giacosa. Il primo, drammaturgo e giornalista, aveva il compito di abbozzare la sceneggiatura, mentre il secondo, autore di commedie di successo e professore di letteratura, di mettere in versi il testo. L’ultima parola spettava comunque a Puccini, non a caso ribattezzato dall’editore Giulio Ricordi il «Doge». Illica e Giacosa scrissero i libretti delle successive tre opere, tra cui la Bohème, nata dal soggetto di Scènes de la vie de Bohème, romanzo a puntate di Henri Murger. L’opera venne conclusa alla fine del novembre 1895. Seguì la Tosca, dramma storico di Victorien Sardou. Alla fine del 1902 iniziarono i lavori per Madama Butterfly (basata su un dramma di David Belasco), la prima opera esotica di Puccini. Il 17 febbraio 1904 l’opera debuttò alla Scala dimostrandosi, tuttavia, un solenne fiasco, tanto che il compositore descrisse la reazione del pubblico come «Un vero linciaggio!». Dopo alcuni ritocchi, in particolare nell’introduzione del celeberrimo coro a bocca chiusa, fu presentata il 28 maggio al Teatro Grande di Brescia, dove raccolse un successo pieno. Nel 1906 la morte di Giacosa mise fine alla collaborazione a tre che aveva dato vita ai precedenti capolavori. Sin dagli ultimi anni dell’800 Puccini tentò anche, a più riprese, di collaborare con Gabriele d’Annunzio, ma la distanza spirituale tra i due restò incolmabile.

Il Trittico pucciniano: Il tabarro, Suor Angelica e Gianni Schicchi
Durante un soggiorno negli Usa per per assistere a una rassegna delle sue opere al Metropolitan Opera House di New York, a Broadway Puccini ebbe l’ispirazione per un nuovo lavoro che doveva basarsi sul The Girl of the Golden West di David Belasco. Dopo il suicidio della governante Doria Manfredi, di cui la moglie del maestro, Elvira, era gelosa – vicenda che ebbe anche strascichi giudiziari – il progetto cominciò a prendere corpo con il titolo di La fanciulla del West. L’opera debuttò il 10 dicembre 1910 a New York con Emmy Destinn ed Enrico Caruso nel cast. Nel 1917 invece al Grand Théâtre de Monte Carlo, a guerra iniziata, andò in scena La rondine, tratta da Die Schwalbe, testo dell’austriaco Alfred Willne. L’eclettismo pucciniano si espresse successivamente nel Trittico: Il tabarro su libretto di Giuseppe Adami, Suor Angelica e Gianni Schicchi su libretto di Giovacchino Forzano. Delle tre opere Gianni Schicchi divenne subito popolare, mentre Il tabarro, inizialmente giudicata inferiore, guadagnò col tempo il pieno favore della critica. Suor Angelica fu invece la preferita dell’autore.
La Turandot, il finale incompleto e la prima di Toscanini
Mentre si trovava a Milano, durante un incontro con Giuseppe Adami, Puccini ricevette da Renato Simoni una copia della fiaba teatrale Turandot scritta dal drammaturgo settecentesco Carlo Gozzi. Opera su cui si erano già cimentati due musicisti italiani: Antonio Bazzini, con la sua Turanda e Ferruccio Busoni che la mise in scena a Zurigo nel 1917. Si tratta dell’unica opera pucciniana di ambientazione fantastica. Nel 1923 il lavoro, dopo difficoltà e incertezze, stava per dirsi concluso ma la diagnosi di un tumore alla gola portò Puccini a Bruxelles dal professor Louis Ledoux dell’Institut du Radium. Operato, il maestro morì il 29 novembre all’età di 65 anni a causa di una emorragia interna. Le ultime due scene di Turandot, di cui non rimaneva che un abbozzo musicale, furono completate da Franco Alfano sotto la supervisione di Arturo Toscanini. Che, la sera della prima rappresentazione, interruppe l’esecuzione sull’ultima nota della partitura pucciniana, ossia dopo il corteo funebre che segue la morte di Liù.
Tag43 vi dà il buongiorno con l’aria In quelle trine morbide della Manon Lescaut interpretata da Maria Callas.