Per Vladimir Putin il crollo dell‘Unione Sovietica ratificato ufficialmente il 26 dicembre del 1991 è stato la maggiore catastrofe geopolitica del XX secolo. L‘implosione dell‘Urss ha sgretolato quello che era stato prima l’impero zarista e poi l’architettura transnazionale del sistema comunista, scomponendo un mosaico costruito in un paio di secoli. La cosa non è stata certo indolore, se si vanno a guardare i conflitti innescati nei territori delle quindici repubbliche indipendenti nate trent’anni fa. Ad eccezione delle più piccole, le tre repubbliche baltiche – Estonia, Lettonia e Lituania – passate velocemente nell’Unione Europea e nella Nato, in tutte le altre le guerre con migliaia di morti, cominciate proprio nel 1991, o addirittura prima, e ripresentatesi a corrente alternata nel corso di questi tre decenni, dimostrano che la dissoluzione dell’Urss catastrofica lo è stata veramente.
Le cause dei conflitti esplosi nei territori nati dalla dissoluzione dell’Urss
Il conflitto tra Moldavia e Transnistria (1992), quello in Georgia tra Abcasia e Ossezia del sud (1991-1993), quello tra Armenia e Azerbaijan per il Nagorno Karabakh (1988-1994), la guerra civile in Tagikistan (1992-1997) e la prima guerra cecena (1994-1996) sono ferite aperte e mai rimarginate che stanno alla base dei confitti che ancora oggi destabilizzando l’Europa orientale, il Caucaso e l’Asia centrale. Le turbolenze croniche legate al radicalismo islamico nelle regioni della Russia meridionale, i perenni conflitti interetnici in Kirghizistan e Uzbekistan, la guerra russo-georgiana del 2008, quella nel Donbass dal 2014 e quella del 2020 tra Armenia e Azerbaijan sono conseguenze dirette o indirette del disfacimento dell’Urss. Putin, i russi e milioni di cittadini ex sovietici non sono certo nostalgici di Joseph Stalin né delle repressioni del Kgb, ma di quella pace che comunque ha regnato per decenni in paesi che poi sono diventati delle polveriere.

L’azione di Putin per riportare la Russia al centro dello scacchiere internazionale
Putin, che ha ereditato la guida della Russia dopo dieci anni in cui Boris Yeltsin ha fatto poco o nulla per tenere insieme i brandelli dell’Unione sovietica, ha fatto di tutto per riportare Mosca ad avere un peso sullo scacchiere internazionale, entrando ovviamente in conflitto con tutte le forze centrifughe nazionali delle nuove repubbliche e con gli Stati Uniti che hanno avuto come primo obbiettivo dopo la fine dell’Urss quello di ridurre la Russia ad attore marginale. Il Cremlino con Putin ha scelto la via del ritorno al passato, con l’accentramento del potere sul lato interno e con il gioco muscolare su quello esterno, per ridare grandezza al paese. Il tutto condito da una simbologia nostalgica che se in casa è stata giudicata a per quello che in larga parte era, cioè come valorizzazione ed esaltazione di momenti fondamentali della storia come la vittoria sul nazismo in quella che è chiamata la Grande guerra patriottica, fuori è stata percepita per quello che in larga parte non era, cioè un ritorno al terrore staliniano.

La fama opposta di cui in Russia godono Putin e Gorbaciov
La questione della percezione differente tra ovest ed est su quello che è stata l’Unione sovietica è fondamentale per capire quanto, nonostante il crescente autoritarismo e la politica estera aggressiva, Vladimir Putin sia considerato in Russia un presidente senza una alternativa e abbia avuto un rating praticamente mai dal di sotto del 60 per cento in oltre 20 anni di influenza al Cremlino. Al contrario di Mikhail Gorbaciov, colui che accompagnò l’Urss al collasso, ritenuto in patria il peggiore dei leader del XX secolo. Se in Occidente Gorby è stato sempre assurto al rango di eroe, una stella che ha illuminato di libertà la Russia, a casa propria invece è odiato dalla stragrande maggioranza della popolazione, che di lui conserva il ricordo del disfacimento di quel sistema che non era solo politico ed economico, ma anche sociale. E non è un caso che a Mosca oggi il partito più forte dopo quello putiniano, Russia unita, sia ancora il Partito comunista erede del Pcus, sempre guidato da Gennady Zyuganov, abituato a deporre fiori sulla tomba di Stalin e per il quale Gorbaciov è stato un traditore della patria.