Impegnati nello sport, con eccellenti risultati, ma passati alla storia come partigiani. Dal calcio alla bicicletta fino alla palla ovale del rugby, sono tanti i nomi della Resistenza italiana che dall’attività sportiva hanno imbracciato alle armi o hanno fornito un supporto diretto alle azioni partigiane. E c’è anche l’ipotesi che proprio un ex atleta abbia potuto uccidere Benito Mussolini, sebbene la verità ufficiale racconti altro.
Le mille vite di Raf Vallone: calciatore, giornalista, partigiano e attore
Raffaele, per tutti Raf, Vallone è uno dei nomi più ricordati per il passaggio da un campo alle armi. Quando abbracciò la causa partigiana aveva già appeso le scarpette da calcio al chiodo e avviato la sua carriera giornalistica. Dagli inizi degli Anni 30 fino al 1941 aveva però indossato la maglia del Torino con cui vinse, nel 1936, la Coppa Italia. Con l’armistizio siglato, è entrato nella Resistenza. Come racconta l’Anpi sul sito ufficiale, «incarcerato a Como, Vallone è destinato alla deportazione in Germania, ma durante il trasferimento riesce a fuggire, buttandosi vestito nelle gelide acque del lago e sfuggendo alle raffiche delle Ss». Successivamente tornò a Torino, dove continuò a lavorare come giornalista: insieme al partigiano Davide Lajolo “Ulisse” fecero uscire, nel capoluogo piemontese, l’edizione straordinaria de l’Unità con l’annuncio della vittoria sul nazifascismo. Vallone, dopo la fine della guerra, ha intrapreso – con successo – la carriera di attore, grazie soprattutto al grande esordio in Riso amaro, capolavoro neorealista di Giuseppe De Santis.

Michele Bruno Moretti, l’uomo che racconta di aver ucciso Mussolini
Sempre dal mondo del calcio arrivava Michele Bruno Moretti, che tra il 1931 e il 1932 seppe conquistare anche la convocazione in Nazionale, grazie alle buone stagioni con l’Esperia e la Comense. Un brutto infortunio stoppò la carriera. Nella storia è entrato non per le doti tecniche, ma per il nome di battaglia “Pietro Gatti”. Ebbene Pietro Gatti era presente al momento della cattura di Benito Mussolini, che stava cercando di fuggire. Secondo una versione, da lui raccontata decenni dopo, sarebbe stato proprio lui a uccidere il Duce, sebbene ufficialmente si dice sia stato Walter Audisio.

Bruno Neri morì sugli Appennini mentre lottava contro i nazisti
C’è anche chi, come Bruno Neri, non è riuscito a vivere la libertà per cui ha combattuto. Ex difensore della Fiorentina, era diventato celebre per il suo impegno politico da tempo: nel 1931 non aveva tributato il saluto romano ai gerarchi fascisti, arrivati per l’inaugurazione dello stadio di Firenze. Nella sua carriera ha indossato anche la maglia azzurra della Nazionale per volere del leggendario ct Vittorio Pozzo. Il suo spirito antifascista lo portò a unirsi ai partigiani, con il nome di battaglia Berni: il 10 luglio 1944 morì in una battaglia sugli Appennini contro i nazisti. Nel 1946, nella sua città natale Faenza, gli fu intitolato lo stadio.

Armando Frigo, il centrocampista arruolato nel Battaglione Cocco
Anche Armando Frigo, per tutti il commissario Spivak del Battaglione Cocco, ha subito lo stesso destino. È stato centrocampista di Vicenza, Fiorentina e Spezia, ma volle combattere contro l’invasione tedesca. Una scelta che gli costò la vita. Fu infatti ucciso dall’esercito tedesco da cui era stato catturato dopo un’eroica resistenza. Diversa la storia di Vittorio Staccione, centrocampista del Torino, considerato un pericolo dal regime fascista per il suo spirito ribelle. Le cronache raccontano che fu ucciso in seguito all’arresto, causato dalla partecipazione a degli scioperi.

Ivo Bitetti: dalla pallanuoto al rugby fino al placcaggio del Duce
Ma non solo i calciatori hanno tolto la divisa dei club per imbracciare le divise di partigiani. Il poliedrico Ivo Bitetti, che avrebbe poi conquistato varie vittorie nel campo della pallanuoto e del rugby, era anche lui tra i militari che riconobbero Mussolini in fuga. Visto uno degli sport che praticava, viene ricordato come uno tra quelli che ha placcato il Duce in fuga. Bitetti era già un cognome importante nel Paese: il padre era tra i soci fondatori della Lazio. Ivo Bitetti scelse altre attività, che gli consentirono di conquistare vari successi.

Alfredo Martini, la Resistenza prima di essere ct della Nazionale di ciclismo
C’è poi Alfredo Martini, ciclista fiorentino che in carriera ha conquistato un podio al Giro d’Italia e un successo al Giro del Piemonte più vari piazzamenti. Il suo nome è legato però alla lunga stagione di commissario tecnico della nazionale azzurra di ciclismo: in 22 anni ininterrotti, dal 1975 al 1997, ha inanellato vittorie leggendarie, su cui spiccava sempre il suo stile spontaneo e ruvido da “toscanaccio”. Durante la Seconda guerra mondiale, però, la bicicletta gli servì per altre operazioni. «Ho portato carichi di bombe molotov alle formazioni partigiane presenti sul Monte Morello», disse alla fine del conflitto. Dopo la Liberazione è tornato in sella per sfide importanti, ma non così impegnative. E dal mondo sportivo, nelle vesti di dirigente, proveniva anche Lelio Speranza, che aveva ricevuto vari incarichi nel Coni. Ma nel 1944 è stato protagonista di battaglie sulle montagne tra Cuneo e Savona con l’esercito nazista. Mettendo da parte lo sport e pensando alla libertà, che sarebbe arrivata il 25 Aprile.
