La proposta di vietare l’immatricolazione di auto non elettriche a partire dal 2035 ha scaldato gli animi della politica italiana e internazionale. La decisione proviene dal parlamento europeo, che ha approvato la direttiva in assemblea plenaria. Ma quali sono le conseguenze per il vecchio continente e per l’Asia, la regione con maggiori investimenti in veicoli elettrici?
Incentivi per l’acquisto e uso di corsie riservate
La proposta di legge europea mira a ridurre le emissioni di gas a effetto serra dell’Unione del 55 per cento entro il 2030 e di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. La legge prevede una serie di misure per raggiungere questi obiettivi, tra cui il divieto di immatricolare nuove auto a motore a combustione interna a partire dal 2035. L’obiettivo della legge è quello di accelerare la transizione verso l’elettrificazione dell’industria automobilistica europea. Secondo i vertici europei, le auto elettriche avranno un ruolo chiave nella riduzione delle emissioni di gas a effetto serra. Per facilitare la transizione, la legge prevede misure di incentivo per l’acquisto di auto elettriche e incoraggia i Paesi a promuovere l’uso di veicoli elettrici attraverso, per esempio, l’uso di corsie riservate.

I nodi: costi di transizione e occupazione
La proposta di legge europea ha suscitato reazioni contrastanti da parte di politica, industrie e consumatori. Matteo Salvini, attuale ministro delle Infrastrutture, ha parlato di una proposta «folle», e la sua posizione è la stessa di Giorgia Meloni. Una parte dell’industria automobilistica europea ha accolto con favore la proposta: tra loro, l’amministratore delegato di Volkswagen Thomas Schaefer, che ha dichiarato lo scorso anno che dal 2033 il marchio ha intenzione di produrre esclusivamente auto elettriche in Europa.

D’altro canto, costi di transizione verso le auto elettriche e l’accessibilità delle infrastrutture di ricarica rimangono nodi da sciogliere per consumatori e politica. Le case automobilistiche dovranno investire in modo massiccio nella produzione di auto elettriche e ridurre gradualmente la produzione di auto a motore a combustione interna. Ciò potrebbe portare a una riduzione dell’occupazione nell’industria automobilistica, a meno che non ci sia un rapido adattamento e riconversione del settore.
Cina e Asia: un favore ai pionieri dell’elettrico
La svolta porta un importante vantaggio ai produttori asiatici. La Cina è il maggior produttore di auto elettriche al mondo, un settore su cui il Paese ha scelto di scommettere da diversi anni. Pechino ospita molti dei maggiori produttori di veicoli elettrici del mondo, alcuni non sono noti ai cittadini e consumatori europei, ma risultano molto popolari in Asia, tra questi Byd, Nio e Xpeng. Anche Tesla gestisce uno stabilimento a Shanghai e molte altre case automobilistiche internazionali hanno costituito joint venture con aziende cinesi per produrre veicoli elettrici nel Paese.

Recentemente la Thailandia ha dato il via libera al più grande stabilimento di auto elettriche del Paese. Il produttore cinese Byd investirà 30 miliardi di baht (circa un miliardo di dollari) sfruttando i benefici di una zona economica speciale, realizzata nell’Est del Paese, nella provincia di Chonburi. Contemporaneamente, la Thailandia ha varato un piano da quasi 2 miliardi di dollari per incentivi all’acquisto di auto elettriche e Singapore ha stanziato fino a 20 mila dollari di incentivo per ogni cittadino.
Come diventare i primi produttori senza esserne utilizzatori
Il mercato dei veicoli elettrici dell’Asia-Pacifico è stato valutato a 229,39 miliardi di dollari nel 2021 e si prevede che raggiungerà i 777,62 miliardi di dollari nel 2027, registrando una crescita media del 19,10 per cento durante il periodo di previsione (2022-2027). Quella regione rimane il territorio a più alto potenziale, soprattutto per la produzione, sebbene la quota di mercato delle auto elettriche sia ancora molto inferiore rispetto a Paesi come Islanda, Norvegia o Svezia. L’Asia potrebbe trovarsi a vivere un paradosso: diventare il territorio a maggiore produzione di veicoli elettrici, senza divenire il primo utilizzatore delle stesse, proprio a causa della legge europea.
La politica italiana dorme: Cingolani era favorevole, Bonomi no…
Nel 2021, l’allora ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani – attualmente consigliere per l’Energia del governo Meloni – aveva espresso supporto alla proposta, definendola «un segno importante dell’impegno dell’Unione europea nell’affrontare il cambiamento climatico». Il presidente di Confindustria Carlo Bonomi, già allora, aveva dichiarato che «un cambiamento rapido e dirompente nell’industria automobilistica potrebbe avere un grave impatto sull’intera filiera».

Sul voto di questi giorni, però, non ha fatto ulteriori commenti. La legge è ormai fatta, e protestare senza poter intervenire nel processo decisionale non è né conveniente né utile, e questo il numero uno degli industriali probabilmente lo ha presente. Per la politica italiana si tratterà di trovare la chiave per agevolare la transizione di consumatori e imprese. Ma non sarà semplice: ogni cambiamento, dal più piccolo al più grande, specialmente in ambito industriale, ha sempre vissuto frizioni e ostacoli nel nostro Paese. E sulle auto elettriche non si prospetta niente di diverso.