Dalle 2:12 di notte del 10 settembre alle 9:06 del mattino del giorno dopo, 11 settembre 2001. L’arco temporale del nuovo libro di Giancarlo Marinelli (11, La Nave di Teseo) sembra focalizzato sulle 30 ore che precedono l’attacco terroristico senza precedenti all’America, fino al momento in cui le Torri Gemelle cominciano a crollare e 2.977 persone perdono la vita. Sembra, ma non è. Perché il tempo ha una dimensione complessa nella struttura molto cinematografica di questo romanzo, che se cominci a leggerlo non ti lascia più andare finché non sei arrivato in fondo, intessuto com’è di piani sequenza, di dissolvenze incrociate, di flashback e di immagini di un futuro che poi è il nostro presente.
Marinelli crea una polifonia letteraria
Solo apparentemente il percorso è rettilineo, orientato inesorabilmente verso il momento della catastrofe. La singolare polifonia letteraria creata dallo scrittore veneto – una narrazione in cui tante voci soliste s’intrecciano – ha infatti qualcosa che assomiglia molto all’armonia nelle più complesse costruzioni contrappuntistiche. Che è fatta anche di echi, di suggestioni mnemoniche, non solo di sovrapposizioni che accadono in un preciso momento. Ci si accorge presto, inoltrandosi nella scrittura turbinosa e febbrile di Marinelli, che quel che accadde a New York la mattina dell’11 settembre di 20 anni fa è per certi aspetti un pre-testo, nel senso etimologico del termine, che indica qualcosa che sta a fianco del cuore del discorso. E anche in questo senso il gioco dei significati e delle esplorazioni psicologiche è complesso. Il lettore sa benissimo cosa è accaduto quel mattino, ma i personaggi che agiscono, pensano, si struggono nel ricordo, ardono di amore, di desiderio o di odio; quelli che fanno politica da ex ubriaconi e quelli che sono dei “dottori sottili” sotto la tutela di “zio” Henry Kissinger e infine quelli che cercano di fare i conti con i loro sensi di colpa, nell’opulenta America o nel deserto della penisola arabica; tutti questi, che poi sono le parti di una polifonia a 10 o più voci, non sanno, naturalmente, che cosa li attende di lì a poche ore.

I personaggi: da Bush alcolista pentito alla madre di bin Laden
I personaggi sono tutti reali, molti ancora viventi, altri vittime della tragedia o degli eventi della propria vita. Marinelli, come un cronista, ha scrupolosamente raccolto ogni dettaglio, verificato ogni sfumatura delle loro vicende personali. Sul versante pubblico, ecco il presidente degli Stati Uniti, George W. Bush, alcolista pentito e sempre in tentazione; sua moglie Laura, incapace di elaborare la tragedia della sua adolescenza, quando uccise con l’auto il compagno di scuola che era il suo fidanzatino; la consigliera per la sicurezza nazionale Condoleezza Rice; il drammaturgo Harold Pinter, di lì a qualche anno Nobel per la Letteratura, che alla vigilia dell’attacco pronunciò un terrificante discorso contro gli Usa “Stato canaglia”, all’università di Firenze, dove riceveva la laurea honoris causa. Sul fronte “privato”, ma che gli eventi presto si incaricheranno di rendere ugualmente pubblico, spicca la madre irosa e altera di Osama bin Laden, che nella sua disperata ricerca di un fugace incontro con il figlio alla macchia assurge quasi alla dimensione di un personaggio euripideo; un vecchio e un giovane immigrato dall’Est Europa, l’uno cieco “come un Tiresia dipinto da Magritte”, l’altro con il talento della fotografia, che esercita dal 106esimo piano della Torre Nord, dove fa l’elettricista di notte in un famoso ristorante; un capitano dei pompieri di New York in crisi perché la moglie, medico legale, non ne vuole più sapere di lui; un prete irlandese ubriacone e incapace di resistere alle tentazioni della carne, ma acuminato nel pensiero fino a diventare il più significativo eroe – sporco e intelligentissimo – di questa singolare pièce dal vero. E del resto, quanto il tutto abbia una connotazione anche teatrale – oltre che cinematografica – emerge dallo sviluppo di questo lavoro, realizzato – secondo quanto dice lo stesso Marinelli – in maniera aperta e non definita sul piano della forma e della narrazione. Ora è un romanzo, presto dovrebbe diventare uno spettacolo teatrale. Il set, chissà.

Quella profezia avverata di Harold Pinter
Chi legge può cogliere nel dispiegarsi dei passaggi da una voce all’altra l’ineluttabilità della tragedia che sta per accadere, ma un po’ alla volta si rende conto che ciò che si afferma nelle pagine di Marinelli è in realtà la potenza dei pensieri e dei sentimenti di ciascuno e di tutti, in relazioni insospettabilmente allargate, fino a rendere coesa, affascinante e soprattutto evidente la trama, ancora una volta usando il termine nel senso etimologico, non per indicare quel che accade in questa storia, ma per dire in che maniera i suoi fili sono intrecciati. Da questo punto di vista, fra tante pagine a loro modo memorabili, una si impone: quella in cui Harold Pinter, stravolto perché la sua lectio magistralis si è trasformata in una sorta di sciagurata “profezia avverata”, va scrivendo nella sua stanza d’albergo a Firenze un dramma sulla moglie di Bush e sui suoi incubi. E quel dramma, in inquadrature alternate, si squaderna sotto gli occhi del lettore “dal vivo”, nel durissimo confronto fra la Rice e la First Lady.
Marinelli concede al lettore una riconciliazione finale
Aperto da un “notturno newyorkese” sordido e miserabile, che è un pugno allo stomaco, il romanzo percorre senza fare sconti tutte le stazioni interiori di una Via Crucis laica e senza speranza anche se spesso aspramente poetica, prima di approdare, nel Family snapshot conclusivo, a una sorta di riconciliazione. Qui si scopre quanto Giancarlo Marinelli possa essere scrittore solare, disteso, votato alla speranza. Capace di concedere un po’ di balsamo nel fluire disteso delle parole, dopo essere stato a lungo l’inesorabile regista di una storia in nero animata da individui in lotta con se stessi prima ancora che sopraffatti dalla Storia.