La terza Base

Nicolò Delvecchio
11/09/2021

Dopo l'uccisione di Osama bin Laden, al-Qaeda è passata nelle mani di al Zawahiri. Nonostante la rivalità con l'Isis, l'organizzazione non è scomparsa. E ora, col ritorno in Afghanistan dei talebani, intende tornare con un ruolo di primo piano nella jihad.

La terza Base

Nacque negli ultimi anni dell’occupazione sovietica nell’Afghanistan, ma in poco trovò negli Stati Uniti il nemico numero uno da combattere. Per quasi un decennio di al-Qaeda (letteralmente “la Base”) si è parlato tanto e il suo nome è stato sinonimo di terrore e morte. Gli attentati alle ambasciate statunitensi in Kenya e Tanzania del 1998, ma soprattutto gli attacchi a New York e Washington dell’11 settembre 2001, con obiettivo le Torri Gemelle e il Pentagono, hanno impresso nell’immaginario collettivo l’immagine del terrorista islamico con barba lunga e turbante. Un riflesso dell’estetica del suo leader, il multimiliardario saudita Osama Bin Laden. Il gruppo, o cellule a esso ispirato, è stato poi responsabile degli attacchi a Bali (2002 e 2009), alla stazione Atocha di Madrid (2004), alla metropolitana di Londra, ad Amman e a Sharm el-Sheik (2005).

Gli attentati di 20 anni fa scatenarono la dura reazione degli Stati Uniti e la decisione del presidente George W. Bush di invadere l’Afghanistan, Paese in cui al-Qaeda aveva la base e dalla quale organizzò le sue offensive più violente. Ma anche Paese in cui era gentile “ospite” dei talebani, strategicamente importante anche per la vicinanza con il sempre ambiguo Pakistan. Se quando parliamo di al-Qaeda usiamo il passato, sottolineando che il suo nome “è stato” sinonimo di terrore e morte, non è perché il gruppo sia scomparso. Anzi, gli attentati nella redazione del giornale satirico francese Charlie Hebdo del 2015, e alcune sue attività in Africa subsahariana dimostrano come l’organizzazione sia ancora viva, forse non vegeta come un tempo. Il motivo della sua crisi è facilmente individuabile nell’uccisione di Bin Laden, avvenuta ad Abbottabad (Pakistan) il 2 maggio 2011 per mano dei Navy Seals, che diede un duro colpo alla Base. Successore del saudita fu l’ex medico egiziano Ayman al-Zawahiri, sulla cui testa pende una taglia da 25 milioni di dollari e del quale, però, non si hanno notizie ufficiali dal 2008. Nel 2020 circolò la notizia che fosse morto, mai realmente confermata.

Il Presidente Barack Obama con il vice Joe Biden e il segretario di Stato Hillary Clinton il giorno dell’uccisone di Bin Laden (Getty)

Al-Qaeda, i problemi di leadership e l’Isis

Con Bin Laden morto, con al-Zawahiri scomparso dai radar ma soprattutto con il ritorno dei talebani alla guida dell’Afghanistan, in molti si chiedono quale potrà essere il futuro di al-Qaeda. Il gruppo, danneggiato dalla morte del suo fondatore, non solo non è più riuscito ad avere una leadership altrettanto carismatica, ma ha progressivamente perso terreno anche nel complesso panorama di organizzazioni jihadiste. Subito dopo gli attentati nella redazione di Charlie Hebdo, infatti, il suo posto è stato prepotentemente occupato dal sedicente Stato islamico, con il quale i rapporti non sono mai stati buoni. La conquista dell’Isis di territori in Siria e Iraq, unita all’organizzazione di nuovi sanguinari attentati in Europa, ha tolto visibilità e potere ad al-Qaeda in favore del Califfato di Abu Bakr al-Baghdadi. Alla Base manca, da 10 anni a questa parte, una guida. E non solo perché al-Zawahiri si è visto poco, ma anche perché altre personalità di spicco sono state eliminate. Hamza, il figlio di Bin Laden e suo erede designato, è morto in circostanze non definite nel 2019, dopo essere entrato nell’organizzazione ad appena 12 anni. Abu Mohammed al-Masri, coinvolto negli attacchi alle ambasciate Usa in Kenya e Tanzania e considerato uno dei fedelissimi del fondatore (erano consuoceri: la figlia di al-Masri, Miriam era la vedova di Hamza bin Laden), è stato ucciso a Teheran nel 2020, probabilmente da agenti del Mossad su richiesta degli Usa. Potrebbe tornare in auge la figura di Saif al-Adl, egiziano anch’egli artefice degli attentati del 1998: è ancora vivo, ma per un accordo tra il governo iraniano e al-Qaeda è ancora confinato a Teheran. L’Fbi ha messo una taglia sulla sua testa di 10 milioni di dollari.

Al-Qaeda oggi e il suo ruolo nel nuovo Afghanistan

Azzoppata, quindi, ma non del tutto sconfitta, al-Qaeda potrebbe presto tornare a far parlare di sé. Il Guardian, a ridosso del ventennale dell’11 settembre, ha dedicato all’organizzazione un articolo intitolato “Il gruppo terroristico che ha imparato il segreto della longevità”. Nel pezzo di Jason Burke si spiega come la caduta rovinosa dello Stato islamico nel 2019 abbia rinvigorito al-Qaeda, che «è sopravvissuta per 33 anni perché si è evoluta». È passata da una dimensione prettamente “parrocchiale” alla Guerra Santa internazionale, per poi ritornare ad occuparsi dei problemi nei Paesi islamici. E non è un caso che l’organizzazione sia tornata a farsi sentire una decina di giorni dopo la presa di Kabul, congratulandosi con i talebani per la «grande vittoria contro l’alleanza crociata», utilizzando un termine caro a Bin Laden. «La sconfitta degli Usa pone la jihad globale in una nuova fase», si chiudeva il messaggio. A fine agosto Amin ul Haq, capo della sicurezza di Bin Laden, è tornato in Afghanistan dopo anni passati tra il carcere e la latitanza, ed è stato accolto come un eroe.

«Le possibilità di creare un’avanguardia di combattenti islamici che solleveranno il mondo musulmano in una rivolta contro i governanti locali infedeli, e anche contro l’Occidente, rimangono estremamente scarse», conclude l’articolo del Guardian, «e le prospettive per chi è ancora impegnato nel progetto sono poco chiare. Zawahiri è malato, o forse già morto, e nessuno sa chi potrebbe essere il suo successore o cosa potrebbe fare. Ma la storia suggerisce che cancellare al-Qaeda, anche dopo 33 anni, sarebbe molto ottimista».

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